L’ICONA: TEOLOGIA ED ESTETICA SECONDO MONSIGNOR SPITERIS (6)

Monsignor Yannis Spiteris, dal 2003 arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia, è stato, negli ultimi anni, anche per il suo ruolo di componente della Commissione mista teologica per il dialogo cattolico-ortodosso, uno dei protagonisti delle relazioni ecumeniche fra Oriente ed Occidente. Autore di numerose pubblicazioni, ha anche firmato un contributo introduttivo alle Sante icone dal titolo eloquente “Il significato teologico ed estetico dell’icona”. Lo proponiamo, in parti successive, agli amici de “I sentieri dell’icona” nella sezione “Un po’ di storia…”.

di mons. Yannis Spiteris
arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia
amministratore apostolico di Tessalonica

IV. LETTURA ESTETICO – TEOLOGICA DELLE ICONE

La teologia dell’icona che abbiamo esaminato è espressa nell’estetica e nella tecnica che obbediscono a delle precise esigenze teologico spirituali. Siccome l’iconografia fu essenzialmente opera dei monaci, i canoni stilistici ed estetici che si riferiscono ad essa sono stati abbastanza costanti. A questi canoni sono dovute quelle caratteristiche che distinguono inconfondibilmente le icone bizantine.

Diamo alcuni canoni estetici che possono aiutare a leggere e a capire le icone, gli affreschi o i mosaici Bizantini.

1. BIDIMENSIONALITÀ

Le realtà che noi conosciamo hanno tre dimensioni: lunghezza, larghezza, altezza. L’icona non essendo una rappresentazione della natura ma un segno della «nuova creazione» inaugurata da Gesù Cristo, volutamente ignora il volume che rappresenta la pura dimensione «carnale» dell’uomo. Il mondo dell’icona si muove dentro la bidimensionalità. Ciò significa che il creatore dell’icona lavora dentro uno spazio divino, non usa mai la tecnica della profondità, non cerca di dare volume ai corpi come succede nelle sculture (nelle chiese bizantine non esistono sculture), o nelle pitture rinascimentali in cui, nello sforzo di riprodurre la natura, si è preoccupati di dare plasticità ai corpi e agli oggetti rappresentati. Al contrario, le icone rappresentano scene teofaniche e persone che sono state trasformate, cristificate, partecipano della natura dell’uomo nuovo, di Cristo pasquale.

Rifiutando di rendere l’illusione ottica del volume, l’icona vuole sottrarsi alle leggi che reggono questo mondo opaco e pesante. Così esse provocano la fede del cristiano a desiderare quel mondo spirituale già inaugurato da Cristo risuscitato, partecipato anche a noi con il battesimo, nutrito dall’Eucaristia ma non ancora completamente compiuto. La bidimensionalità ci vuole ricordare che «la nostra patria è il cielo». In questo contesto bisogna dire che nella pittura bizantina esiste una distinzione fra corpo e carne. Il pittore di icone riproduce il corpo senza attirare l’attenzione sulla carne (a questo serve la bidimensionalità). Quello che l’iconografo riproduce e vuole presentare allo sguardo dei fedeli, è il corpo trasfigurato, spiritualizzato.

2. IRRAGGIAMENTO

Nell’icona troviamo spesso una simmetria che presuppone un centro ideale a cui si riferisce tutto lo sviluppo della tematica. Sembra che da questo punto centrale si sviluppino e si irradino tutti i particolari dell’icona. Anche questa tecnica vuole aiutare il fedele a trovare il punto fontale di ogni realtà, cioè il divino, e ad esso condurre chi contempla l’icona. Ed è proprio questa radice spirituale, questa «signoria di Dio», che al pittore sacro interessa mettere in evidenza e non la struttura fisico-temporali del mondo. Perciò le icone sono così essenziali nei loro elementi ornamentali. Si riproduce solo quel che è necessario, ricorrendo spesso al simbolo, per esprimere non l’immanenza ma lo slancio verso la trascendenza.

3. PROSPETTIVA INVERSA O ROVESCIATA

Il senso dell’immaterialità, del nuovo mondo annunziato dall’icona, viene sottolineato ulteriormente con la tecnica della prospettica inversa o rovesciata. Questa tecnica che si può trovare anche nell’antica pittura egizia, viene ottenuta con una tecnica precisa: Le linee non vengono tracciate per convergere in un punto all’interno dell’icona bensì al suo esterno. Questo significa che le linee si dirigono in direzione inversa dal punto dell’osservatore, la direzione della prospettiva non si trova dietro il quadro ma avanti. Si ha l’impressione che la scena invece di perdersi nel fondo venga verso lo spettatore quasi ad incontrarlo. E qui sta il significato teologico di questa tecnica. É Dio che ha l’iniziativa, è Lui che viene verso l’uomo per incontrarlo, offrirli la sua amicizia; ed esige da lui una risposta. Si tratta proprio della Rivelazione di Dio che gratuitamente si dà all’uomo e lo invita alla comunione con Lui. C’è da notare che nella tecnica della prospettiva inversa, il personaggio principale è rappresentato più grande rispetto agli altri anche se esso non è al primo piano. Il mondo di Dio non dipende dalle leggi create ma dalla sua sconvolgente bontà salvifica che supera la «logica» dell’uomo.

4. ATEMPORALITÀ DEL SOGGETTO

Come lo spazio dell’icona obbedisce alla logica interna della trascendenza, così anche il tempo non è visto in maniera strettamente cronologica. Al pittore sacro non interessa «rappresentare la storia», ma «storia della salvezza». Secondo questo criterio sono accostati vari fatti cronologicamente distanti. Essi sono uniti tra di loro secondo un significato spirituale e teologico. Così, per es., nell’icona della natività si vede Giuseppe in un angolo, fuori della grotta, pensieroso e dubbioso. Si tratta della crisi avuta quando si era accorto della gravidanza di Maria. L’episodio è rappresentato nella scena della nascita per indicare la verginale maternità di Maria. Per sottolineare questa indipendenza dallo spazio e dal tempo, le scene delle icone non sono inquadrate dentro un telaio. Esse sono lasciate libere da limiti per indicare che superano lo spazio e il tempo e si aprono un varco verso l’infinito.

5. LUCE PROPRIA

Nell’icona non esiste una sorgente naturale di luce per cui i corpi non proiettano ombre. la luce proviene dallo sfondo dorato dell’icona che simboleggia la vita divina partecipata agli uomini. I colori si sovrappongono sempre più chiaramente a partire da un fondo scuro. Questo fenomeno si vede soprattutto nell’icona della Trasfigurazione dove, partendo dallo sfondo dorato, si arriva alla luce chiara abbagliante di Cristo che a sua volta irradia uomini e cose trasfigurando anche loro della sua trasfigurazione. In quest’atmosfera surrealista, i colori assumono un’importanza particolare. Essi, per quanto riguarda le vesti dei personaggi, sono trattati in modo da suggerire una esplosione gioiosa nel loro accostamento. Nell’icona di Cristo la veste interna è di colore porpora e indica la divinità, mentre la veste esterna è di colore azzurro ed indica l’umanità. I volti (sempre di fronte) sono trattati con colori molto sfumati in modo da togliere ogni idea di sensualismo. Ciò è ottenuto anche con la sproporzione geometrica delle fattezze rispetto al naturale. Per indicare questo superamento del naturale e dell’essenza ontologica dell’uomo come «immagine di Dio», si ricorre anche ad altri accorgimenti tecnici come la ieraticità delle figure, la rigida posizione facciale, la scena bloccata nel suo movimento.

(6-continua)