“QUELLO STORICO ABBRACCIO CHE SPALANCO’ LE PORTE FRA LE CHIESE”

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In occasione del pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa, il quotidiano on line cittanuova.it ha pubblicato un’intervista-documento, a firma di Paolo Loriga, all’arcivescovo greco-cattolico Joseph-Jules Zerey (nella foto in alto), che fu testimone, nel 1964, dello storico abbraccio fra Paolo VI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras. Proponiamo il testo dell’intervista agli amici de “I sentieri dell’icona”.

Lui c’era. Proprio qui, proprio allora. L’arcivescovo greco-cattolico Joseph-Jules Zerey, vicario del patriarca di Gerusalemme, fu presente allo storico incontro di 50 anni fa tra Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli, Athenagoras. Lo visse con l’entusiasmo di un giovane seminarista e con la consapevolezza di assistere a qualcosa di straordinario, ad una tappa che avrebbe mutato le relazioni tra le due Chiese e il cammino del dialogo ecumenico. Veniva dall’Egitto e studiava dai Padri bianchi. «Non posso dimenticare il momento in cui Paolo VI uscì dalla basilica del Santo Sepolcro. C’era una grande folla e procedere non era facile. Mi trovai così alla sua destra e lo accompagnai in mezzo alla gente», riferisce con accuratezza e con occhi brillanti. Racconta volentieri di allora, ma non traspare nostalgia, impegnato com’è a collaborare con le Chiese qui presenti e pronto a parlarne con “Città Nuova”.

Quali effetti produsse, a suo dire, l’incontro tra il papa e il patriarca di Costantinopoli?

«Il loro incontro aprì realmente le porte tra le due Chiese e avviò un più grande dialogo. Athenagoras fece un gesto straordinario anche verso la nostra Chiesa greco-cattolica, perché decise di venire in questo patriarcato ad incontrare Maximos IV, un evento denso di significato».

Quale situazione vivono i cristiani della Terra Santa?

«Le condizioni sono assai diverse a seconda delle regioni, per cui occorre compiere una ripartizione geografica della Terra Santa tra Galilea, Gerusalemme e la Palestina oltre il muro. Al Nord, in Galilea, le condizioni di vita sono buone, grazie al positivo andamento dell’economia. A Gerusalemme, è soddisfacente l’impegno del governo nell’ambito della tutela della salute e dei servizi sociali. Molto problematica invece la vita nella Palestina oltre il muro. La critica situazione politica con Israele paralizza tutto quanto e per tutta la popolazione è molto amara la procedura per andare oltre il muro e per tornare poi a casa. Il lavoro manca ed è una piaga dolorosa e senza rapide cure. Solo nell’ambito dell’artigianato del legno e nell’edilizia resta qualche opportunità. Così tanti palestinesi tentano di ottenere un permesso dallo Stato israeliano per cercare un’occupazione a Gerusalemme».

Come vanno i rapporti tra cristiani e fedeli di altre religioni?

«A motivo della situazione politica, cristiani e musulmani vivono rapporti di buon vicinato, e positive sono le relazioni con l’Autorità palestinese. Questo non significa che non permanga qualche tensione in qualche quartiere o abitato, ma sono gesti ed episodi isolati, sebbene di matrice fondamentalista. In generale, le relazioni sono buone e nell’imminenza delle festività religiose vengono espressi auguri con grande cordialità. Sia ringraziato Dio! Altra cosa, invece, è il rapporto con gli ebrei. A Gerusalemme i rapporti sono molto freddi. Ma posso dirle una cosa?».

Prego.

«Non resto male e non resto sorpreso. Sono fiducioso anche nel rapporto con gli ebrei. Con i miei anni ho imparato ad attendere il tempo di Dio, perché il fanatismo è dentro tutti noi. A noi cristiani il compito di essere aperti, amare ebrei e musulmani, dare il perdono e diffondere la gioia, consapevoli che possiamo custodire il Risorto nel nostro cuore. Questo è Gesù Cristo».

La Chiesa greco-cattolica ha una piccola comunità a Gerusalemme mentre è più sviluppata a nord del Paese. Come si sta tra la Chiesa latina di Roma e la Chiesa ortodossa greca?

«A dire la verità, non mancano sofferenze, soprattutto perché abbiamo tradizioni bizantine ma siamo cattolici, cosicché per Roma siamo cattolici ma non latini, mentre per gli ortodossi siamo bizantini ma non ortodossi. Con la Chiesa cattolica c’è piena comunione, si badi bene, ma non c’è sufficiente conoscenza di quello che siamo, per cui certe volte veniamo un po’ considerati una Chiesa di seconda classe».

Soddisfatto dei rapporti tra le Chiese cristiane in questa terra?

«Grazie a Dio ci sono buone relazioni tra tutte, ma spero che migliorino molto e rapidamente. Non bastano per me i pur lodevoli scambi di auguri e bisogna incrementare le occasioni d’incontro per migliorare nella carità e procedere verso l’unità senza che qualcuna debba rinunciare alla sua bellezza, come tanti fiori nello stesso giardino. L’unità è il carisma della nostra Chiesa e solo tutti insieme siamo la Sposa di Cristo».

Cosa si auspica possa accadere con la venuta di un innovatore evangelico come papa Francesco?

«Mi auguro che ci faccia avvertire che il Risorto è tra noi, perché noi un po’ facciamo come se Lui non ci fosse. Confido nella preghiera che il papa eleverà per questo Paese e per la pace. Spero che la sua presenza e la sua parola aumentino la nostra fede per diventare cristiani più autentici. Sono sicuro che scenderà una pioggia di grazie per tutti noi».