IL CORAGGIO DEL DIACONO TOCHTUEV PERSEGUITATO PER LA FEDE

Nell’agosto del 2012 il sito Internet ilsussidiario.net ha pubblicato un articolo a firma di Mara Dell’Asta, della Fondazione Russia Cristiana di Seriate (Bergamo) e Milano, nel quale, ricordando i martiri per la fede del periodo sovietico e gli approfonditi studi per ricostruirne almeno alcune storie, è raccontata la vicenda esemplare di un diacono finito nella morsa della polizia politica. Nella sua testimonianza è racchiuso in maniera emblematica il coraggio di tanti cristiani, ortodossi e cattolici, finiti nel “tritacarne” del Gulag.

Sono millecinquecento, più o meno, i martiri e confessori della fede uccisi dai bolscevichi e canonizzati finora dalla Chiesa ortodossa russa. Ma questa cifra, che non ha uguali in tutta la storia della cristianità per mole e per concentrazione temporale, è solo una minima parte della schiera di ignoti credenti che hanno dato la vita per Cristo nel XX secolo in Urss.
La Commissione martiri del Patriarcato di Mosca lavora a pieno regime perché si possa dare la dovuta venerazione alla schiera incalcolabile dei “nuovi martiri” ortodossi, anche se la progressiva chiusura degli archivi rende sempre più difficile, ormai quasi impossibile, studiare a fondo i materiali di ogni singolo caso.
Del resto, il lavoro negli archivi è assolutamente indispensabile per stabilire se ci sia stato o no martirio, poiché, contrariamente al tradizionale stile di canonizzazione ortodosso, che teneva conto innanzitutto della presenza di spoglie mortali incorrotte e della venerazione popolare, le nuove regole stabilite dall’autorità ecclesiastica sono molto rigorose e prevedono, oltre alla stesura di una “vita” del candidato martire, anche l’acquisizione di tutti i materiali dell’inchiesta: il mandato di arresto, tutti i verbali degli interrogatori e dei confronti, l’atto di accusa, la sentenza, l’atto di esecuzione. Inoltre, affinché la canonizzazione possa avere luogo è necessario verificare che, durante l’inchiesta, il cristiano non abbia, con le proprie deposizioni, coinvolto nessun altro innocente. Una condizione, questa, che molti ritengono fin troppo esigente data la tremenda pressione psicologica, la violenza fisica e il ricatto subito dalle povere vittime.
La presenza di queste precondizioni consente comunque di sgombrare il terreno da una venerazione dei martiri generica e sentimentale, dalle agiografie stilizzate. Dopo un vaglio così rigoroso resta soltanto il valore autentico, e infatti troviamo delle storie di martiri spoglie, antieroiche ma proprio per questo impressionanti.
Come quella di Nikolaj Tochtuev, consacrato diacono nel 1922 proprio nel pieno della prima persecuzione antireligiosa del giovane Stato sovietico. Viene arrestato quasi subito e mandato al confino; quando torna riesce a svolgere il suo ministero in un paese della periferia moscovita, Bolševo.
Il venerdì santo del 1940 viene convocato nell’ufficio dell’Nkvd a Mytiši, dove un giudice inquirente gli prospetta 8 anni di prigione se non accetta di fare l’informatore della polizia. Il diacono accetta, forse si spaventa, e firma l’impegno; torna a casa ma deve ripresentarsi il lunedì successivo. Possiamo immaginare lo stato d’animo di padre Nikolaj durante le celebrazioni pasquali, conscio di essersi impegnato per iscritto… Tuttavia esce dalla liturgia pasquale con una decisione.
Il lunedì dell’angelo raccoglie quel che gli può servire in prigione e si presenta all’ufficio dell’Nkvd con una dichiarazione scritta: «Compagno comandante, sconfesso la mia precedente firma, che ho fatto solo per poter celebrare la Pasqua e dire addio alla famiglia. Le mie convinzioni religiose e il mio abito non mi permettono di tradire neppure il mio peggior nemico…».