L’ICONA: TEOLOGIA ED ESTETICA SECONDO MONSIGNOR SPITERIS (3)

Monsignor Yannis Spiteris, dal 2003 arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia, è stato, negli ultimi anni, anche per il suo ruolo di componente della Commissione mista teologica per il dialogo cattolico-ortodosso, uno dei protagonisti delle relazioni ecumeniche fra Oriente ed Occidente. Autore di numerose pubblicazioni, ha anche firmato un contributo introduttivo alle Sante icone dal titolo eloquente “Il significato teologico ed estetico dell’icona”. Lo proponiamo, in parti successive, agli amici de “I sentieri dell’icona” nella sezione “Un po’ di storia…”.

di mons. Yannis Spiteris
arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia
amministratore apostolico di Tessalonica

2. FUNZIONE SACRAMENTALE E LITURGICA DELL’ICONA

I grandi dottori della teologia delle immagini non hanno temuto di sottolineare che Cristo è presente spiritualmente tanto nella parola quanto nei segni, specie sacramentali. La mentalità orientale bizantina ha accettato facilmente il principio dell’identità di persona tanto nel prototipo (prototypos) quanto nella sua rappresentazio- ne (typos), senza appassionarsi a distinguere la differenza di natura esistente tra Cristo e la sua immagine dipinta. Certo l’icona, essendo rappresentazione, dice sempre relazione al prototipo, però, sacramentalmente il prototipo è presente nell’icona. Questa presenza sacramentale nell’icona è resa possibile anche dalla benedizione fatta dal sacerdote e così essa diventa oggetto liturgico. Un’antica preghiera copta esprime questa consacrazione con l’andamento di una vera e propria epiclesi: «Ti domandiamo e ti supplichiamo, o amico degli uomini, manda il tuo Spirito Santo su questa immagine del tuo santo martire (santo…), affinché sia un’immagine di salvezza per quelli che vi si accostano con fede, ricavano da Dio la grazia su di essi per la remissione dei peccati…». Anche la preghiera che recita l’iconografo [colui che «scrive» un’icona] prima che dipinga un’icona manifesta questa presenza del divino nell’immagine sacra: «O Divino Maestro, fervido Artefice di tutto il creato, reggi e governa la mia mano, affinché degnamente e con perfezione possa rappresentare la tua immagine per la gloria, la gioia e la bellezza della tua Santa Chiesa. Amen». Per Dostoevskij l’icona come la Chiesa è «l’epifania del bello».

La benedizione e l’imposizione del nome le attribuiscono, secondo l’eucologia, una «virtus», cioè una misteriosa presenza divina. Dato che l’icona vengono esposte ufficialmente e solennemente durante la sacra liturgia, il fedele sa che esse sono parte integrante dell’azione liturgica. Infatti la celebrazione delle dodici grandi feste del Signore e della Madre di Dio o dei Santi con ufficio solenne, esige che si esponga l’icona festiva nel centro della navata su un leggio. In alcune chiese si trasporta solennemente l’icona in una processione che partendo dall’altare attraversa la porta reale e giunge in mezzo alla navata durante il canto del Polyeleos (versetti scelti del grande Hallel antifonati con l’Alleluja); il sacerdote è rivestito del «felonion» (casula), la incensa tre volte dai quattro lati, prima della lettura del Vangelo. In questo momento l’icona vuole rivelare con immediatezza ottica il senso dell’avvenimento che si commemora. Dopo il canto del Vangelo, i fedeli si avvicinano al leggio, baciano prima il Vangelo e poi la icona, sicuri che entrambe le cose trasmettono un messaggio salvifico. Infatti ogni volta che Dio si manifesta attraverso avvenimenti, segni, parole o colori (icona) opera la nostra salvezza, ci santifica. Anche l’icona, dunque, è veicolo e strumento di santificazione. Bisogna anche pensare che le icone, integrate nella santa liturgia, svelano il mistero della comunione dei santi. In questo «cielo sulla terra», come gli orientali amano definire la santa liturgia, le immagini visualizzano i misteri invisibili, le persone presenti ed invocate nella preghiera e nelle intercessioni. L’iconostasi non ha la funzione di nascondere, quanto di rivelare il cielo invisibile che si cala sulla terra. Anche il tempio orientale è nella sua misteriosa ordinazione immagine della Gerusalemme celeste, sintesi della storia della salvezza. Dall’iconostasi e dalle pareti si fanno avanti le presenze dei santi raffigurati.

La viva ieraticità delle icone, lo splendore dell’oro e dei colori in tavole, affreschi, mosaici, la posizione frontale delle figure dagli occhi grandi, le luci che illuminano i volti, sono altrettante espressioni del mistero di una presenza che ci viene offerta, che si propone a noi; presenza dei «viventi» alla destra di Dio, tutti protesi alla contemplazione del mistero della gloria ma anche del mistero di Dio che si realizza nella storia. Questo inserimento delle icone nel movimento cultuale della Chiesa, ascendente e discendente, quale presenza di grazia e luogo di preghiera, le rende particolarmente adatte ad essere una mediazione per l’incontro con il mistero, nella linea della sacramentalità della Chiesa e della santa liturgia, con il senso positivo di manifestazione visibile delle cose invisibili, con la capacità di suscitare la fede e l’amore senza i quali non si entra in comunione con il mistero. Lo Spirito Santo è indicato nella tradizione orientale come l’iconografo interiore, l’artefice della santità. È colui che rivela il Cristo come immagine del Padre, ma è anche Colui che porta l’uomo alla progressiva somiglianza con Cristo, «scrivendo» la sua immagine di santità nell’uomo. Le icone, nel gioco dei simboli e dei colori, vogliono essere come una trasparenza ed una rivelazione di questo lavorio dello Spirito nel cuore dei santi.

(3-continua)