L’ICONA: TEOLOGIA ED ESTETICA SECONDO MONSIGNOR SPITERIS (2)
|Monsignor Yannis Spiteris, dal 2003 arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia, è stato, negli ultimi anni, anche per il suo ruolo di componente della Commissione mista teologica per il dialogo cattolico-ortodosso, uno dei protagonisti delle relazioni ecumeniche fra Oriente ed Occidente. Autore di numerose pubblicazioni, ha anche firmato un contributo introduttivo alle Sante icone dal titolo eloquente “Il significato teologico ed estetico dell’icona”. Lo proponiamo, in parti successive, agli amici de “I sentieri dell’icona” nella sezione “Un po’ di storia…”.
di mons. Yannis Spiteris
arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia
amministratore apostolico di Tessalonica
II – TEOLOGIA DELLE ICONE
Fondamentalmente la teologia delle icone la troviamo nel concilio Ecumenico Niceno II (a.787) che ha condannato gli iconoclasti. La teologia delle immagine fu elaborata tra 730 e 843 da Germano di Costantinopoli, Giorgio di Cipro, Niceforo di Costantinopoli, Teodoro Studita e soprattutto Giovanni Damasceno.
1. L’INCARNAZIONE: FONDAMENTO TEOLOGICO DELL’ICONA
Scrive San Giovanni Damasceno, strenuo difensore delle icone: «Se un pagano viene da te dicendo: “Mostrami la tua fede”, tu conducilo in una chiesa e mettilo davanti alle immagini sacre!». Con queste parole il santo dottore voleva dire che l’icona va vista dentro il mistero centrale del cristianesimo, cioè l’economia dell’incarnazione. Gli iconoclasti sostenevano che non bisognava dipingere icone né proporle alla venerazione dei fedeli perché si favoriva l’idolatria. Come si poteva dipingere Dio dal momento che era invisibile? Per questo motivo, essi sostenevano che anche l’icona di Cristo non si poteva dipingere perché di lui si poteva rappresentare solo l’umanità favorendo così il monofisismo.
Il Damasceno risponde che è giusto non dipingere l’immagine di Dio perché egli è ineffabile, invisibile, infinito. Tuttavia con l’Incarnazione l’Invisibile ha preso forma, quantità, colore. Ormai, attraverso l’umanità di Cristo, si manifesta la divinità. Gli avvenimenti della sua vita, il suo insegnamento, i suoi miracoli ci rivelano la vera natura di Dio: il Dio di Gesù è un Dio che è Amore, un Dio che salva. Quindi il riferimento essenziale dell’icona conduce a Cristo, vera immagine del Padre nello Spirito Santo. Da una parte Cristo è immagine del Padre e dall’altra l’uomo è a immagine di Cristo. In Cristo quindi avviene la riconciliazione di queste due realtà: è l’uomo ad immagine di Dio; è Dio ad immagine dell’uomo; è quindi immagine perfetta di Dio e dell’uomo. Da questo principio teologico si sviluppa il senso più profondo delle immagini di Cristo. È ormai possibile rappresentare Dio nelle sembianze umane. Anzi, è necessario rappresentare Cristo per confessare l’ineffabile mistero dell’Incarnazione.
Questa rappresentazione di questo mistero può essere fatto in due modi in parole e in colore. Quello che è la parola nel Vangelo è il colore nell’icona. Meglio esiste una complementarietà far parola ed immagine, fra «Logos» e «Eikon», fra ascolto e visione. Quello che la parola porta all’orecchio l’immagine lo porta davanti agli occhi. Il cristiano è invitato ad ascoltare e a credere, ma anche a vedere e a confessare la propria fede. Afferma San Basilio: «Quello che la parola comunica attraverso l’udito, il pittore lo mostra silenziosamente»2. Il Vangelo non è soltanto parola ma anche fatti, storia di salvezza, di episodi nei quali Cristo si rivela nel suo agire verso gli uomini.
Il Kontakion della prima domenica di Quaresima o festa dell’Ortodossia (in ricordo del trionfo delle immagini sull’iconoclasmo), riassume con efficacia questo aspetto di «lettura» insito nella teologia dell’icona: «L’indescrivibile Parola (aperigraptos Logos) del Padre, è stata rappresentata (periegràhe) quando prese carne da te, o Madre di Dio, e ha restaurato l’antica immagine macchiata (dal peccato), unendola alla bellezza divina. Confessando la salvezza, noi la rappresentiamo in fatti e parole». Il ragionamento di quest’inno del mattutino bizantino sembra condensare il pensiero di S. Teodoro Studita, il quale fonda la rappresentazione del Dio-Uomo sull’umanità rappresentabile di sua Madre: «Poiché Cristo è nato da un Padre indescrivibile, non può avere immagine…Ma dato che Cristo è nato da una madre descrivibile, naturalmente ha un’immagine che corrisponde a quella di sua madre. E se non fosse possibile rappresentarlo con l’arte, ciò vorrebbe dire che egli è nato solo dal Padre e non si è affatto incarnato. Ma questo è contrario a tutta la divina economia della salvezza».
Quindi l’icona ha una sua maniera di ripetere la Scrittura, da non confondere con un esclusivo rendimento letterale o una preoccupazione pedagogica; essa parla principalmente della Gloria del Dio-Uomo e colui che la guarda, la percepisce in un’esperienza di Spirito Santo. Infatti, come la Scrittura senza la «vivificazione» dello Spirito è lettera morta, così l’icona senza la medesima operazione dello Spirito rimane «carne» e materia. Come con l’incarnazione la materia si è spiritualizzata così anche nell’icona la materia assume dimensioni di culto. Ecco come è espresso tutto questo da Giovanni Damasceno: «Nei tempi antichi Dio, incorporeo e senza forma, non poteva essere raffigurato sotto nessun aspetto; ma ora che Dio si è manifestato nella carne ed è vissuto con gli uomini, faccio l’immagine di ciò che di Dio è visibile. Non adoro la materia, ma il creatore della materia che è diventato materia a causa mia, nella materia ha accettato di abitare e attraverso la materia ha operato la mia salvezza… Non smetterò di onorare la materia attraverso la quale mi fu procurata la salvezza… Non è forse materia il legno della croce… il monte santo è venerabile… l’inchiostro e il libro degli evangeli…? E non è materia superiore a tutto ciò il corpo e il sangue del Signore? O togli l’onore e la venerazione di tutto questo oppure! Oppure concedi alla tradizione sella Chiesa anche la venerazione delle immagini santificate dal nome di Dio e degli amici di Dio (i santi), e per questo motivo adombrate dalla grazia dello Spirito Santo! Non ritenere malvagia la materia, perché non merita disprezzo: nulla di ciò che Dio ha fatto merita disprezzo. Questa è opinione dei manichei».
L’icona illustra la Scrittura mediante un procedimento liturgico, cioè quello della Chiesa che annunzia con pretesa universale un avvenimento della salvezza, lo spiega mediante il canto e la meditazione quali mezzi fondamentali della visione interiore. L’Uspensky, uno dei migliori studiosi dell’icona, scrive: «Il contenuto della Sacra Scrittura è trasmesso dall’icona non sotto forma di un insegnamento teorico, ma in modo liturgico, ma in modo vivo, toccando tutte le facoltà dell’uomo… Così tramite la liturgia e l’icona, la Scrittura vive nella Chiesa e in ognuno dei suoi membri».
(2-continua)