L’ICONA DELLA NATIVITA’ DI MARIA SPIEGATA DA DON GIANLUCA BUSI (2)

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Prosegue questa settimana l’itinerario attraverso la spiegazione di alcune icone mariane a cura di don Gianluca Busi, pittore di icone, teologo e studioso di temi iconografici, componente del comitato scientifico (cfr. la sezione “Chi siamo”) de “I sentieri dell’icona”. In occasione del “varo” di questo spazio web, sabato 10 maggio 2014, don Busi aveva già curato la pubblicazione testo introduttivo presente nella sezione “I documenti”. Ora il viaggio prosegue con l’illustrazione della Santa immagine della Natività della Madre di Dio corredata da un brano tratto dal libro di mons. Tonino Bello (1935-1993) “Maria donna dei nostri giorni”.

di don Gianluca Busi
L’icona, dipinta nel 2012-13 per la chiesa di Santa Maria di Venezzano (Bo) con i miei collaboratori misura 135 per 170 cm di altezza. Ha richiesto circa 300 ore lavorative; per la realizzazion; sono stati impiegati materiali tradizionali quali l’oro zecchino per fondi e decorazioni, pigmenti naturali in particolare provenienti da pietre preziose tritate come malachite, dioptasio, azzurrite e lapislazzuli. La tavola è in legno di tiglio di fattura artigianale. Il modello è una ripresentazione filologica di un modello russo, ispirato alla scuola di Novgorod (Russia) del XV secolo, che deve la sua genesi alla leggenda dei Santi Gioacchino ed Anna (genitori di Maria), secondo la tradizione tramandata dal Protovangelo di Giacomo.

– Descrizione dell’immagine

L’icona, di indubbia complessità formale si compone di 4 scene fondamentali:

  • in alto a destra vi è Gioacchino all’interno della casa che contempla a distanza l’accaduto
  •  al centro Anna seduta semisdraiata sul grande letto riceve la visita e i doni di tre fanciulle.
  • in basso due scene: la prima a destra indica la cura accordata a Maria Bambina da parte di due fanciulle mentre a sinistra due levatrici compiono il rito tradizionale della purificazione della neonata.

– La scena di Gioacchino.

Due edifici uno a destra e uno a sinistra in una composizione iconografica e sullo sfondo indicano in genere il dialogo fra due realtà, a sinistra è dunque la casa di Anna, in giallo, e a sinistra, in verde, la casa di Gioacchino. La casa in questo contesto è  una sorta di prolungamento del contesto vitale del personaggio: cioè la casa come indicazione piena della persona, delle cose che gli appartengono, dei suoi affetti e la sua intimità. Questi due edifici mantengono una marcata distanza e risultano uniti da un drappo rosso. Nelle icone questo drappo indica in genere la presenza e l’opera di Dio in una azione misteriosa. In questo senso sembra ovvio supporre che indichi la concezione casta della Madre di Dio, avvenuta nel cosiddetto “Bacio” che l’ha generata. Gioacchino, attraverso la distanza dalla scena principale, è indicato in analogia evidente con Giuseppe, come padre “putativo” poiché in questa nascita appaia evidente l’opera dello Spirito.

– La scena centrale

Anna sdraiata sul letto maestoso con un cuscino rosso decorato in oro e con un grande drappo rosso che le ricopre la parte inferiore sono una nuova indicazione per la presenza di Dio in questa nascita (il rosso e l’oro sono i colori tipici di Dio). La sua postura con la mano destra reclinata accanto al capo, richiama una posa tipica della Madre di Dio in alcune icone. Sembra riferirsi per analogia a quanto si dice di Maria nell’icona della Natività di Gesù: “Ella meditava su tutte queste cose serbandole nel suo cuore” (Lc 2,51). Anna riceve in visita tre fanciulle. Chiara l’analogia con i Magi che sono anch’essi tre e portano doni. Ma, in questo contesto le fanciulle sono probabilmente cinque, e non tre, se si aggiungono le due più in basso che cullano Maria. Si può ipotizzare un riferimento con l’episodio-parabola di Mt. 25 delle dieci vergini. In quel contesto “vergine” indica più esattamente la vergine Almah, cioè la ragazza in età da marito fra il 12esimo e il 13esimo anno di età. Queste presenti nell’icona sarebbero le cinque ragazze sagge, che grazie alla loro prudenza e pazienza, sono ammesse nella casa di Dio: è un’ipotesi suggestiva e non inverosimile. Esse portano in dono una bevanda, un cibo solido e un giocattolo mosso dal vento (una girandola): la tradizione interpreta questi doni come simboli eucaristici, il vino e il pane e il dono dello Spirito.

– La scena delle ragazze che accudiscono

Queste  fanciulle sono “vergini sagge” ammesse alla prossimità con le cose di Dio, in particolare in questo contesto hanno l’onore di potersi prendere cura della bambina che in realtà è  la Madre di Dio. Una la culla, mentre l’altra le dà sollievo perché non pianga indicandole di alzare lo sguardo verso la girandola, ad indicazione della vita spirituale. La scena conterrebbe cioè una riflessione legata alla scena della presentazione al Tempio di (Lc 2) in cui Simeone decreta su Maria: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele e anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Le ragazze indicano preventivamente a Maria la via per portare nella fede il peso dell’esperienza spirituale.

– La scena delle levatrici

Questa scena del lavacro è da leggere in analogia con l’icona della Natività di Gesù. Là due levatrici, rifacendosi all’uso classico di lavare immediatamente un neonato subito dopo il parto per scongiurare infezioni, lavano Gesù in un’ampia fonte. Nella tradizione iconografica il bagno di Gesù infante richiama il mistero della verginità di Maria custodita anche nel momento del parto, si può pensare che in questo contesto il segno sia posto su Maria per ricordare l’incontro casto fra Gioacchino ed Anna (il bacio) che ha portato al miracolo della concezione della Madre di Dio.

APPROFONDIMENTO
Chi sa quante volte l’ho letta senza provare emozioni, L’altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un’immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l’autenticità. Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto del Conci1io Vaticano II sull’Apostolato dei Laici c’è scritto testualmente: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro». Intanto, Maria viveva sulla terra. Non sulle nuvole. I suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete. Anche se l’estasi era l’esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare con i piedi per terra. Lontana dalle astrattezze dei visionari, come dalle evasioni degli scontenti o dalle fughe degli illusionisti, conservava caparbiamente il domicilio nel terribile quotidiano.
Ma c’è di più: Viveva una vita comune a tutti. Simile, cioè, alla vita della vicina di casa. Beveva l’acqua dello stesso pozzo. Pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco dello stesso cortile. Anche lei arrivava stanca alla sera, dopo una giornata di lavoro. Anche a lei un giorno le dissero: «Maria, ti stai facendo i capelli bianchi». Si specchiò, allora, alla fontana e provò anche lei la struggente nostalgia di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza sta sfiorendo. Le sorprese, però, non sono finite, perché venire a sapere che la vita di Maria fu piena di sollecitudini familiari e di lavoro come la nostra, ci rende questa creatura così inquilina con le fatiche umane, da farci sospettare che la nostra penosa ferialità non debba essere poi così banale come noi pensiamo. Sì, anche lei ha avuto i suoi problemi di salute, di economia, di rapporti, di adattamento. Chi sa quante volte è tornata dal lavatoio col mal di capo, o sovrappensiero perché Giuseppe da più giorni in bottega non aveva molto lavoro. Chi sa a quante porte ha bussato chiedendo qualche giornata di lavoro per il suo Gesù, nella stagione dei frantoi. Chi sa quanti meriggi ha malinconicamente consumato a rivoltare il pastrano già logoro di Giuseppe, e ricavarne un mantello perché suo figlio non sfigurasse tra i compagni di Nazareth.
Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei dei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’ era, non sempre avrà capito i silenzi. Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra timori e speranze, nelle pieghe tumultuose dell’adolescenza di suo figlio. Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all’altezza del ruolo. E, dopo aver stemperato nelle lacrime il travaglio di una solitudine immensa, avrà ritrovato finalmente nella preghiera, fatta insieme, il gaudio di una comunione sovrumana.
Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra follia di ricondurti entro i confini dell’ esperienza terra terra, che noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie. Se per un attimo osiamo toglierti l’aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto. Se spegniamo i riflettori puntati su di te, è perché ci sembra di misurare meglio l’onnipotenza di Dio, che dietro le ombre della tua carne ha nascosto le sorgenti della luce. Sappiamo bene che sei stata destinata a navigazioni di alto mare. Ma se ti costringiamo a veleggiare sotto costa, non è perché vogliamo ridurti ai livelli del nostro piccolo cabotaggio. È perché, vedendoti così vicina alle spiagge del nostro scoraggiamento, ci possa afferrare la coscienza di essere chiamati pure noi ad avventurarci, come te, negli oceani della libertà.
Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che ti colloca all’interno della casa di Nazareth, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua naturale femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni.
Santa Maria, donna feriale, liberaci dalle nostalgie dell’epopea, e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza. Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l’abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore. E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata Regina del cielo hai ingoiato la polvere della nostra povera terra.

da “Maria donna dei nostri giorni” di mons. Tonino Bello, cap. 1