L’ICONA: TEOLOGIA ED ESTETICA SECONDO MONSIGNOR SPITERIS (1)
|Monsignor Yannis Spiteris, dal 2003 arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia, è stato, negli ultimi anni, anche per il suo ruolo di componente della Commissione mista teologica per il dialogo cattolico-ortodosso, uno dei protagonisti delle relazioni ecumeniche fra Oriente ed Occidente. Autore di numerose pubblicazioni, ha anche firmato un contributo introduttivo alle Sante icone dal titolo eloquente “Il significato teologico ed estetico dell’icona”. Lo proponiamo, in parti successive a partire da questa settimana, agli amici de “I sentieri dell’icona” nella sezione “Un po’ di storia…”.
di mons. Yannis Spiteris
arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia
amministratore apostolico di Tessalonica
INTRODUZIONE
Oggi le icone sono di moda nel mondo occidentale. Una serie di libri di arte e di spiritualità ci hanno svelato i misteri di queste austere immagini dell’Oriente. La facilità della riproduzione a colore – benché prima era condannata dalla Chiesa Russa – permette di averle a buon mercato. Così troviamo ormai le icone dappertutto, nelle chiese, nelle cappelle per la preghiera, nelle abitazioni, imitando la tradizione dell’angolo della bellezza o luogo delle icone nella vita domestica dei cristiano orientali.
In generale l’uomo di oggi è avvolto dalle immagini mobili più disparate, dalla cultura della televisione e del cinema, dei rotocalchi e della pubblicità. Immagini spesso banali, deformatrici, interessate. Non sono bellezza trascendente che rivela la vocazione dell’uomo. Non sono quella bellezza di Dio che l’uomo cerca forse senza saperlo. Per questo ha bisogno di ricuperare il senso della bellezza e della contemplazione. Le icone possono aiutare anche noi a questo recupero, e ci possono aiutare anche nella preghiera. È in questo senso che vorremmo parlare delle icone come via alla preghiera contemplativa, cercando di favorire una retta utilizzazione di un gran tesoro della spiritualità della chiesa.
La contemplazione delle icone, la preghiera suggerita dal mistero della presenza che esse ci portano davanti agli occhi, può essere oggi un metodo facile di pregare, una via alla semplificazione dello sguardo contemplativo. Ma la qualità della preghiera che tale contemplazione può suscitare è legata al senso sacramentale dell’icona, secondo la genuina dottrina della Chiesa. È necessario, perciò, concentrare prima la nostra meditazione alla teologia dell’icona per poter poi capire che significa pregare con le icone
I – INTRODUZIONE STORICA
L’arte religiosa o iconografica è talmente importante a Bisanzio che per più di 130 anni (dal 726 al 843)) la controversia tra coloro che rifiutavano le icone come espressione religiosa e coloro che ne sostenevano il culto, scosse l’impero bizantino fin dalle sue fondamenta. Si è trattato vera e propria guerra civile a Bisanzio che prese il nome di «lotta iconoclasta». La cause che portarono a questa guerra civile e religiosa non sono ancora del tutto chiare. Probabilmente la crisi iconoclasta derivò dalla crisi politica che in quel periodo cominciava a sgretolare il grande impero giustinianeo. Infatti, a partire dal secolo VII, vasti territori bizantini erano occupati dagli arabi. Regioni, dal glorioso passato cristiano, come le parti orientali dell’Asia Minore e il Nordafrica, passano all’islamismo. Nella penisola balcanica i bulgari si ribellano, mentre crolla l’esarcato in Italia. Tutto questo mette in crisi non solo le istituzioni dello Stato ma anche la fiera coscienza religiosa dei bizantini. L’islamismo, infatti, con la sua marcia trionfante attraverso i territori dell’impero e con la loro conseguente islamizzazione crea degli enormi problemi di coscienza. Si ci domandava, per es., se la fiducia nelle immagini dipinte non avesse qualcosa di non cristiano, di pagano. Come mai le tante immagini miracolose che si veneravano in tante chiese non avevano potuto proteggere le città dai seguaci dell’«infedele» Maometto? Il cristianesimo con il culto alle icone era veramente rimasto la vera religione? Nella corte imperiale i «colti» erano convinti che il culto delle immagini era un ritorno al paganesimo e se si voleva ritornare alla vera religione di Cristo, bisognava eliminarle.
Da quel momento incominciò un’opera sistematica di distruzione di ogni forma di rappresentazione religiosa in icone portatili, mosaici o affreschi. Contemporanea- mente si comincia la più crudele persecuzione che abbia mai conosciuto Bisanzio con l’eliminazione fisica di tutti coloro che si opponevano alla distruzione delle immagini e questi erano specialmente i monaci che incarnavano la coscienza religiosa popolare. I due maggiori punti di resistenza erano il grande monastero di Studion a Costantinopoli e i numerosi monasteri delle Cappadocia. L’unica arte pittorica bizantina che ci è rimasta precedente alla distruzione iconoclasta l’abbiamo nel monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai, a Roma, e specialmente nei mosaici dei Ravenna del VI secolo. Tutto il resto che ci è rimasto è dopo il X secolo.
Nell’iconografia si notano tre epoche principali:
– il VI secolo caratterizzato a Bisanzio dalla grandiosità, dal sublime, dall’immenso;
– dal X al XII secolo durante i quali le rappresentazioni si avvicinano di più alla realtà umana;
– il XIV rappresenta l’inizio dell’epoca d’oro dell’iconografia con il «rinascimento» dei Paleologi (dinastia di imperatori bizantini. Si ricordi San Salvatore in Chora a Costantinopoli) e con la scuola russa di Novgorod.
(1-continua)