INTRODUZIONE ALL’ICONA: IL “DONO” DI DON BUSI AL NUOVO SITO

Russiian Icons

In occasione del “varo” del nuovo sito Internet “I sentieri dell’icona”, don Gianluca Busi, pittore di icone, teologo e studioso di temi iconografici oltre che componente del nostro comitato scientifico (cfr. la sezione “Chi siamo”) ci ha fatto dono di un suo testo d’introduzione all’icona. Documenti analoghi sono già presenti nelle diverse sezioni, e a vario titolo, di questo spazio web. Ma, come sempre, il contributo di don Busi si fa apprezzare per la limpidezza dei contenuti e per l’indubbia suggestività dello stile con cui accosta, anche nelle molte conferenze pubbliche a cui partecipa, tale argomento. Questa riflessione costituisce, altresì, l’inizio di un itinerario attraverso la spiegazione di alcune icone mariane, sempre a cura di don Gianluca Busi a cui va la riconoscenza della redazione, che proporremo nelle prossime settimane.

di don Gianluca Busi
Quando guardiamo una icona sentiamo una insolita familiarità. Probabilmente, (anche se non lo sospetteremmo mai), è perché ci troviamo di fronte a qualcosa che avvertiamo come molto legata alla vita di tutti i giorni; probabilmente l’oggetto più vicino al quotidiano che tutti ci ritroviamo in casa: la televisione. L’icona infatti si presenta come uno schermo. Ci sono alcuni particolari che ci aiutano a capire questo. Il bordo rosso che ne delimita il perimetro esterno infatti ha una funzione precisa e delimita la realtà esterna (visibile con i nostri occhi) dalla realtà interna (altrimenti invisibile). In senso più preciso delimita il “profano” che si trova fuori dal “sacro” che si trova dentro l’immagine. Lo sbalzo interno alla tavola delimita invece il bordo esterno da una zona più interna chiamata anche “finestra” o “culla”. Questo è lo “schermo” vero e proprio dove ci è data la possibilità di vedere una immagine che non appartiene alla nostra realtà visibile. Quindi, se vogliamo forzare questo paragone icona-tv potremmo dire che: quando vediamo un personaggio in realtà vediamo come miracolosamente apparire sullo schermo una realtà invisibile ai nostri occhi: infatti quel personaggio non è presente (chiaramente!) nel nostro salotto. Quindi la Tv è uno strumento adeguato per recepire e rendere visibile qualcosa che pur esistente non è realmente né presente né visibile, lì dove siamo noi. Dell’icona si possono dire le stesse cose. Appare davanti ai nostri occhi una immagine soprannaturale che diventa visibile attraverso uno strumento adeguato: l’icona stessa appunto.

Trovarsi davanti ad una icona significa guardare attraverso una “finestra” che ha una vista sull’invisibile. La prima cosa che si può notare infatti è che le icone non hanno il cielo azzurro, ma hanno dei fondi in oro zecchino. L’oro è il materiale più prezioso che esiste in natura ed ha una rifrazione perfetta della luce. Per questo gli iconografi lo utilizzarono per significare la luce increata, che è la luce di Dio. Guardiamo con attenzione: possiamo notare che le figure non hanno le ombre. Questo perché le cose e le figure contenute nell’icona appartengono ad una realtà “trasfigurata”, e non prendono luce dall’esterno ma contengono esse stesse la luce: questo concetto è una eco di quanto si dice nell’Apocalisse: “Gli eletti vedranno la faccia del Signore e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,4-5). Dal punto di vista pittorico questo è evidenziato attraverso particolari molto singolari. Dalle vesti trasparenti escono raggi di luce sempre più intensi fino ai tratti vivi di colore bianco puro, nei punti dove la pelle tocca le parti di tessuto a maggior contatto con il corpo di luce.

Questo fenomeno raggiunge la massima intensità nei volti. Il colore della pelle molto scura e i colpi di luce molto intensi rendono l’idea dell’abbaglio che i nostri occhi hanno davanti ad una sorgente luminosa troppo intensa: se noi guardiamo direttamente il sole abbiamo una esperienza analoga: vediamo il sole nero e tutto attorno scorgiamo un alone luminosissimo. Un maestro russo infatti consigliava di immaginare i volti delle icone come se fossero costruiti su di un scheletro trasparente con una lampadina dentro e ricoperti di pelle, questo esempio può aiutare a capire ancora meglio. Le figure non hanno alcuni aspetti tipici della pittura come la consideriamo tradizionalmente “noi moderni”: la costruzione dei volumi attraverso il chiaroscuro e la prospettiva. Questo per accentuare il fatto che ci troviamo di fronte a corpi celesti che non seguono la logica rappresentativa naturale. La profondità e il volume vengono raggiunti qui attraverso la sovrapposizione di colori molto leggeri e trasparenti e il movimento verso l’esterno viene sottolineato con lo spostamento dell’asse della figura verso sinistra nel “profilo avanzante”. Un altro particolare da considerare è quello della “prospettiva rovesciata”. Un aspetto ancora molto discusso fra gli interpreti delle icone antiche. Sappiamo dalla scrittura che Dio disse a Mosè che Egli non può essere mai visto di fronte, perché “vedere Dio di fronte significherebbe morire”, quindi Egli si fa vedere “di spalle”. Probabilmente gli iconografi cercarono di fare delle raffigurazioni con la prospettiva inversa, dove “il punto di fuga” non è dietro le figure ma davanti. Questo significa che noi abbiamo una visione di qualcosa che avremmo potuto vedere solo di spalle. Non è comunque facile capire questo ed è un punto controverso.

L’iscrizione: tutte le icone hanno una scritta che designa o il titolo o il nome di un personaggio. Normalmente sono scritte in slavo antico o in greco. Probabilmente sono funzionali alla collocazione. Nelle chiese ortodosse ci sono centinaia di icone e i fedeli dovevano poter capire attraverso l’iscrizione  a quale scena o personaggio si riferisse l’icona.

Le icone si dipingono con una emulsione formata da tuorlo di uovo, vino e di essenza di lavanda e sono simboli rispettivamente: della risurrezione di Gesù (anticamente infatti la risurrezione veniva paragonata al pulcino che spezza il guscio ed esce dall’uovo); del sacrificio, dove Gesù offre il vino dicendo che è il suo sangue; del profumo, come ricordo dell’unzione con un balsamo da 300 denari di Maria Maddalena a Betania (segno della dedizione completa dell’uomo al mistero di Dio). I colori sono possibilmente pigmenti naturali, in genere terre e pietre preziose tritate, questo vuole sottolineare che tutto ciò che c’è di più prezioso in natura viene messo a servizio di queste rappresentazioni “trasfigurate” della realtà. A pittura ultimata il dipinto viene ricoperto da olio di lino cotto bollente con sali di cobalto che conferisce, una volta essiccato quella particolare patina “vetrosa” e profumata che caratterizza il dipinto iconografico.

Don Gianluca Busi