PAVEL EVDOKIMOV: DALL’ICONA ALLA TESTIMONIANZA VIVENTE

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Il sito www.fuci.net, della Federazione universitaria cattolici italiani, ha pubblicato, a cura di Rocco Gumina una approfondita e articolata recensione di un volume fondamentale per la comprensione dell’icona, “Teologia della bellezza. L’arte dell’icona”, scritto da Pavel Evdokimov. Riportiamo qui, per gli amici de “I sentieri dell’icona”, il contributo per la sua ricca profondità di analisi e per l’importante squarcio che apre sulla comprensione di un testo-cardine del pensiero del Novecento. Nella parte conclusiva, sempre dal medesimo sito citato, si trova anche una ricostruzione biografica del profilo di Evdokimov.

Il libro Teologia della bellezza. L’arte dell’icona era un libro molto caro ad Evdokìmov, questo fu l’ultimo suo libro stampato, degno coronamento di un’opera durata una vita. Può sembrare strano il desiderio di Evdokìmov di pubblicare un libro bello sulla bellezza. La sua esistenza, infatti, appare tutt’altro che bella, lacerata come fu da un susseguirsi di dolori: dalla perdita violenta del padre all’esilio dalla Russia dopo la rivoluzione d’ottobre. Evdokìmov non è né un disincarnato sognatore, né un accademico avulso dalla realtà. Un uomo impegnato può certamente sognare; e forse il sogno di una realtà diversa è la fonte del suo impegno. Il suo dovrà necessariamente misurarsi con la realtà per poterla affrontare e trasformare. Viene spontaneo pensare all’influsso che la “santa Russia” aveva sugli esuli. A questa tradizione culturale va annoverato anche il carattere di liberazione totale attribuito alla bellezza. Lo si può riassumere con la celebre frase di Dostoevskij fatta propria in modo originale dallo stesso Evdokìmov: “la bellezza salverà il mondo”. Il rapporto con la terra d’origine, e con quanto essa comporta, è riconosciuto dallo stesso Evdokìmov. Vale la pena ricordare qualche episodio della sua vita, apparentemente marginale, in realtà assai significativo. Fin da bambino la madre, persona di fine sensibilità umana e religiosa, l’educò al senso della presenza dell’angelo custode. Ci si può domandare che cosa mai centri l’angelo custode con una visione estetica dell’esistenza. Così come è presentato dall’Evdokìmov, la presenza dell’angelo custode è un’esperienza della trascendenza che gli permette di superare il vitalismo caratteristico di gran parte della tradizione culturale legata alla “santa Russia”. In secondo luogo proprio sul senso della presenza dell’angelo custode si radica in Evdokìmov il senso della presenza dell’Invisibile, che si traduce in capacità di superare l’esistente e di esplorare le frontiere del possibile. L’icona, secondo Evdokìmov non ha le caratteristiche di essere un’opera d’arte perfetta; la sua originalità consiste nel mettere insieme povertà e ricchezza: infatti il materiale di cui è fatta un’icona è poverissimo, in quanto si tratta di una tavola di legno; ma la povertà di questo materiale diviene veicolo di una sovrabbondanza di significato. L’icona raccoglie i frammenti di significato sparsi nelle disparate vicende della vita e li sintetizza in un’immagine che a sua volta diviene guida per la vita di quanti la contemplano. Ma non basta contemplare l’icona; è necessario trasformarsi in un’icona vivente. Evdokìmov si spinse oltre questa posizione ed avanzò l’ipotesi che l’attualità storica esiga che ogni uomo diventi icona vivente per i suoi fratelli, per offrire un “nutrimento puro”, secondo la bella espressione di Origene.

Certamente è nella bellezza che il mondo sarà salvato; ma salverà il mondo quella bellezza che si concretizzerà come spazio di manifestazione dell’Invisibile. In tal modo l’esperienza estetica s’incontra con l’esperienza etica e con l’esperienza religiosa. Ma perché una teologia della bellezza? La domanda è affatto retorica, perché il significato storico di una teologia della bellezza non appare per nulla ininfluente né in riferimento alla nostra realtà storica, né il riferimento all’intera storia del cristianesimo. Oggi la bellezza da una parte viene usata come ornamento teso a favorire lo scambio dei prodotti, dall’altra parte, nonostante alcune eccezioni molto significative, nel cristianesimo non si è mai sopita una persistente diffidenza nei confronti della bellezza. Evdokìmov conosce questi aspetti, li attraversa e fa i conti con essi, non con l’atteggiamento di chi vuole confutarli o legittimarli, bensì con l’atteggiamento di chi istituisce un obbiettivo confronto tra i problemi e le soluzioni, riconoscendo ad ognuno frammenti di verità. Ma in cosa consiste l’andar oltre di Evdokìmov? Quale è l’esperienza che consente ad Evdokìmov una sintesi eccezionale tra fede, etica ed estetica? La risposta è l’esperienza dell’ineffabilità della presenza di Dio nella storia dell’uomo. L’esperienza di fede, infatti, per un verso si configura come relazione con l’Ineffabile, con un Dio che non diviene mai un oggetto correlativo della nostra conoscenza e della nostra attività e che pertanto non può mai essere contenuto in un’idea e in un’opera d’uomo. Ma l’ineffabile di Dio non si non si concretizza nemmeno in un puro silenzio. Infatti nella relazione con il Dio ineffabile l’uomo si trasforma e la sua trasformazione esprime il mistero della presenza di Dio. È all’interno di un’esperienza di fede che va capita la concezione evdokimoviana della bellezza. La bellezza non è una decorazione aggiunta ad una fede già completa in se stessa ma appare come luogo della rivelazione di Dio stesso e luogo dello svelamento della verità dell’uomo. La bellezza pertanto è rivelazione dell’originario ed anticipazione del definitivo.

Un’altra domanda fondamentale, radicale, per comprendere il pensiero del teologo russo è questa: che cos’è in realtà un’icona? L’icona non è un quadro a soggetto religioso che esprime episodi biblici. Il luogo in cui l’icona nasce non è propriamente il laboratorio dell’artista, bensì quel laboratorio in cui l’uomo si costruisce come immagine visibile di un Dio invisibile. Allo stesso modo il luogo della presenza vivente dell’icona non è il museo, bensì il tempio inteso come spazio della presenza del Dio invisibile. Pertanto ciò che è essenziale nell’icona è l’intenzionalità che l’attraversa. Perciò Evdokìmov ritiene che la nostra epoca, epoca caratterizzata dal silenzio di Dio e dall’oblio della verità dell’uomo, non sia propizia al sorgere di nuove icone. Anche se l’icona può ancora svolgere il suo ruolo di immagine guida che indica un cammino ed un’avventura che ha da essere vissuta da noi, uomini dell’aurora del terzo millennio di vita cristiana, con le nostre paure e i nostri desideri, con le nostre incertezze e i nostri dogmatismi, con le nostre delusioni e le nostre speranze.

Evdokìmov rifacendosi alla tradizione cristiana orientale sostiene che la base della teologia dell’immagine è data dal riconoscimento che in Gesù ci è rivelata la pienezza del mistero di Dio. In questo contesto il concetto di immagine è analogico come sosterrà Giovanni Damasceno. Le icone, le immagini fanno parte della tradizione non scritta della Chiesa, tradizione viva ancora oggi. Il teologo russo mette in luce anche che di tutte le espressioni culturali della cristianità come, la latina, la siriaca, l’egiziana, l’armena, la sola bizantina divenne inseparabile dalla teologia. L’icona bizantina appartiene essenzialmente alla costellazione della teologia, della spiritualità, della liturgia. Essa è considerata sintesi teologica e teologia in immagini. L’artista è più impegnato a rappresentare al meglio il simbolo teologico e il suo messaggio, che non le soluzioni tecniche della composizione e del colore. Si tratta di una precisa scelta teologica. La bidimensionalità è uno strumento per rappresentare una visione: indica che l’immagine o raffigura un corpo immateriale o è l’anticipazione della spiritualizzazione del mondo materiale. Mentre una pittura rinascimentale è una finestra aperta sul mondo rappresentato e costituisce una nostra irruzione nello spazio che ci sta di fronte, l’icona bizantina è invece un’irradiazione della presenza di Dio e dei Santi nello Spirito di chi contempla. È un movimento verso di noi. Essendo una rappresentazione trasfigurata della realtà, per Evdokìmov l’icona è una visione dall’alto, da parte di Dio, del nostro mondo. Nella tradizione orientale pertanto l’icona nasce nella preghiera, porta alla preghiera e si nutre della preghiera appassionata della Chiesa intera. L’icona è un’ascensione spirituale, che con l’estrema stilizzazione delle forme deve portare alla realtà escatologica. Non rappresenta, però, il mondo delle ombre della caverna platonica, che serviva solo a risvegliare il ricordo della vera realtà. Anzi, è proprio nella visibilità della realtà rappresentata dall’icona, che si scopre l’invisibile e il compiuto per sempre. Inoltre Evdokìmov afferma che l’icona è strettamente legata al culto e alla liturgia. Anzi è questa la sua funzione primaria. Infatti ogni icona ha un posto preciso nel quadro dell’anno liturgico e nel complesso sistema dei cicli e delle feste che il calendario e i libri liturgici contengono. L’intero anno liturgico è così vivo e presente nelle icone.

Per il teologo russo l’icona è una realtà teologica che ha anzitutto un contenuto cristologico, in quanto definisce Cristo immagine del Dio invisibile. In secondo luogo essa è categoria antropologia, perché qualifica l’uomo come creato a immagine e somiglianza di Dio, per cui l’uomo non è solo opus Dei, ma anche imago Dei. Per questa sua pregnanza teologica, l’icona diventa una forma originale di annunzio della salvezza.  L’opera Teologia della bellezza. L’arte dell’icona di Evdokìmov, funge anche da ripresentazione di temi, problematiche, significati che soprattutto nella riflessione teologica occidentale sembrano assenti, nel nostro mondo, sempre più tecnologico, veloce, nell’odierna società dell’immagine, il teologo russo ci dice che l’icona può diventare un efficace strumento di inculturazione della fede.

 

Cenni biografici

Pavel Nikolajevic Evdokìmov, nacque a Peterburg, la città più occidentalizzata della Russia, il 2 agosto del 1901. Vive un’infanzia drammatica poiché suo padre, appartenete ad una nobile famiglia e colonnello dell’esercito, viene assassinato quando Pavel ha appena sei anni. Negli anni giovanili respira l’atmosfera di fede come una realtà totalizzante; l’immagine di Dio è quella di un Dio vivo e presente nella realtà del quotidiano. La sua formazione si arricchisce con lo studio delle opere letterarie dei grandi scrittori russi, primo fra tutti Dostoevskij.

Nel 1918 si inscrive all’Accademia teologica di Kiev. All’epoca della rivoluzione viene mobilitato tra i Russi Bianchi, dove milita per due anni: è guerra, sconfitta, esilio. Nel 1921 è costretto a lasciare la Russia. Di quel periodo violento non amò mai parlare in seguito. A Istanbul, prima tappa del suo peregrinare, si guadagna da vivere, facendo il conduttore di taxi, il cameriere, talvolta il cuoco. Nel 1923 raggiunge Parigi e inizia a lavorare come operaio nelle fabbriche dove si producevano automobili o di notte nelle stazioni ferroviarie a pulire carrozze. Si iscrive all’università: prima segue gli filosofici alla Sorbona, dove consegue la licenza, poi all’istituto Saint-Serge dove conosce Bulgarov e Berdjaev. Sarà il primo a infondergli il senso vivo dell’Ortodossia, una sorta di istinto teologico fedele alla tradizione e al vissuto ecclesiale. Nel 1927 sposa Natascia Brunel e da lei avrà due figli. Negli anni della seconda guerra mondiale sviluppa ulteriormente la sua vocazione ecumenica partecipando alla resistenza intesa come militanza-diakonia. Completa gli studi filosofici laureandosi nel 1942. Nel 1945 muore la moglie. Tra il 1945 e il 1955 collabora attivamente a gruppi interconfessionali. Nel 1954 sposa Tomoko Sakai, figlia di un diplomatico giapponese. Nel 1953 inizia ad insegnare Storia del cristianesimo occidentale e Teologia Morale all’istituto ortodosso SaintSerge.  Nel 1967 è chiamato ad insegnare nell’istituto ecumenico della Facoltà teologica cattolica, tenendo corsi anche a Ginevra e Lione. In questi stessi anni inizia la pubblicazione delle sue numerose opere. La pubblicazione del suo ultimo saggio teologico Teologia della bellezza. L’arte dell’icona rappresenta il suo testamento spirituale con il quale chiude il cerchio aperto con le sue opere. Su invito del Segretariato per l’unità dei cristiani partecipa alla terza sessione del concilio vaticano II. Muore a Mendun, in Francia il 16 settembre del 1971, non occupando mai una cattedra in forma stabile per non dover prendere la cittadinanza francese, segno di un’esistenza di frontiera, tra Oriente e Occidente, tra presente ed Eschaton.

 

Bibliografia essenziale

Opere di Evdokìmov:

L’amore folle di Dio, Edizione Paoline, Roma 1983.

La conoscenza di Dio secondo la tradizione orientale, Edizioni Paoline, Roma 1983.

Cristo nel pensiero russo, Città Nuova, Roma 1982.

Le età della vita spirituale, EDB (studi religiosi), Bologna 1981.

La preghiera della Chiesa orientale, Queriniana, Brescia 1970.

Dostoevskij e il problema del male, Città Nuova, Roma 2001.

L’Ortodossia, EDB, Bologna  1981.

Lo Spirito Santo nella tradizione ortodossa, Edizione Paoline, Roma 1983.

Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002.

L’uomo icona di Cristo. Saggi di spiritualità. Ancora, Milano 2003.