ALESSANDRO GIOVANARDI: “OLTRE L’ICONA, L’IDEA ORIGINARIA”

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(Dal “Nuovo Quotidiano di Rimini” del 3 dicembre 2013) – Con Alessandro Giovanardi, storico riminese (discepolo del prof. John Lindsay Opie e curatore del libro “Estetica simbolica ed esperienza del sacro. Un profilo intellettuale”, pubblicato nel 2011 dalle Edizioni di storia e letteratura e a lui dedicato), ma anche critico d’arte, saggista di filosofia ed estetica riminese, a pochi giorni dalla conclusione dell’ultima rassegna culturale curata per la Fondazione Carim legata agli scritti forestieri sul Tempio Malatestiano, proviamo a viaggiare a tuto tondo nel mondo della cultura, della filosofia e della storia.

Il cristianesimo è, nella sua esperienza, una religione o una fede?
“Non ho mai condiviso la distinzione tra fede e religione che va molto di moda tra filosofi e teologi contemporanei. L’equivoco riguarda, però, il pensiero occidentale moderno, e non è neppure pensabile presso i Padri occidentali e orientali o i maestri del Medioevo monastico. Certo gli atti religiosi possono essere vissuti in modo letterale, farisaico, ma anche la sola fede può scadere in atteggiamenti fanatici, in veri e propri abbagli. Il rito, i suoi segni, il suo lessico simbolico sono indispensabili alla crescita della fede. Respirare una religione è essenziale, anche per chi non crede”.

E cioè?
“La liturgia, scrive una poetessa impeccabile è “iniziatrice sovrana”, è “la grande esoterica del cattolico”: è scuola di contemplazione dei misteri celesti celati in quelli terrestri. Inoltre, senza il rito non ci sarebbero quei particolarissimi segni visibili che sono le opere d’arte sacra e che suscitano le più vertiginose riflessioni di filosofi laici come Jean-Luc Nancy o Georges Didi-Huberman”.

Lei sembra un uomo libero nel proprio pensiero, dentro alle situazioni che vive. E’ realtà?
“Non abbastanza: libero è solo chi segue la voce del proprio destino; libertà è possedere un destino: “amor fati” direbbe Nietzsche. Una realtà rara, a cui per lo più ci si arrischia, ci si accosta. Ci si può dire liberi quando si fuggono le false libertà che conducono alla vera schiavitù e si abbraccia il senso dello spazio, del tempo, del fare che ci sono affidati. La libertà è appropriarsi di una vocazione e di una disciplina; è scegliersi”.

E il suo rapporto costante con le immagini sacre? Ne ha bisogno per pregare?
“Direi che ne ho bisogno anche solo per pensare o per scrivere. O per vivere. Anche il conoscitore ateo che guarda con attenzione amorosa un dipinto, un disegno, un’incisione compie un atto simile alla preghiera”.

L’arte, specie la pittura, può essere conosciuta senza studio?
“Studium, in latino, è fatica, lavoro: dobbiamo all’artista un poco almeno dello sforzo che ha impiegato a realizzare l’opera e cercare di essere all’altezza dei concetti che vi ha immesso; una certa conoscenza storica, estetica e iconografica sono indispensabili, ma vi è un accostarsi intuitivo dei sensi e dell’intelligenza che precede ogni scavo erudito. L’opera chiede quello sguardo che capisce prima di sapere, chiede l’oblazione dei sensi e dell’intelligenza”.

Lo studio della filosofia l’ha condotta all’arte bizantina, una tradizione senza tramonto che continua ad esistere in Oriente mentre, in Occidente, viene a declinare a partire dal Rinascimento. Possiamo parlare di “aura” dell’icona, nel senso che dava al termine Walter Benjamin?
“L’arte sacra, nel cristianesimo orientale come nel buddhismo, ripete all’infinito i suoi soggetti. Ma la reiterazione dei temi non è la riproducibilità industriale di cui parla Benjamin. Un bronzetto del Nepal, un’icona dei vecchi credenti sono sempre pezzi unici, composti uno ad uno, mantengono l’aura pur in una “ripetizione differente”. Danno forma visibile a un archetipo celeste: il loro “nimbo” discende, anche in senso estetico, dal saper vedere e far vedere l’idea originaria”.

Ci sono parole importanti per lei. Una è “mistico”. Rimanda a mistero? A “mistificazione”? A cos’altro?
“Mistificare, significa ‘fare mistero’, fingerlo, ma il mistero non si produce, si dà. La mistica, come la profezia, è l’esatto contrario della mistificazione. E quando si comunica, in versi , in prosa, o anche in balbettii, ha sempre il crisma della poesia”.

La poesia evidentemente non è per lei solo questione di versi, di tecnica. Può essere però l’estrema espressione del pensiero umano, come riteneva Martin Heidegger?
“Fin dallo Ione di Platone, si sa che il poeta è uomo divino, posseduto da un dio; alla poesia vera non è sufficiente, benché necessaria, l’arte della lingua e del verso. Il poeta è come la rosa di Silesio: “senza perché, fiorisce perché fiorisce”; è un mistero per se stesso, dimorante con la carne della propria scrittura nel mondo delle immagini archetipiche”.

Filosofia o poesia?
“Il poeta coglie sempre il senso dell’essere prima del filosofo. D’altra parte i sapienti greci delle origini scrivevano poemi e gran parte del sapere filosofico e religioso dell’India e dell’Asia orientale è affidato ai versi. Negli inni liturgici e monastici, o nella Commedia di Dante si è più prossimi alla verità che in tutta la trattatistica teologica. La verità si canta”.

Pavel Florenskij, Boris Uspenskij, John Lindsay Opie, sono alcuni dei nomi che hanno avuto un ruolo nella sua formazione e rimandano sia alla tradizione filosofica russa, sia alla semiotica. Ma questa disciplina non è passata un po’ di moda?
“Può anche darsi: non sono attento alle mode; ma in Russia la semiotica è soprattutto figlia della più augusta simbologia religiosa. Non ha nulla a che vedere con l’intellettualismo snob della cultura italiana. Si pensi al saggio di Uspenskij sulla pala del Mistico Agnello di Van Eyck o agli scritti sull’icona di Florenskij e di Lindsay Opie. Il loro studio dei segni affonda in un pensiero immemorabile”.

Si può spiegare meglio?
“L’orizzonte di Florenskij rimanda in fondo alla “filosofia perenne” del platonismo. Per lui, come poi per Simone Weil, Mircea Eliade, Lindsay Opie la tradizione platonica non è però una filosofia tra le altre, ma è il linguaggio con cui si esprime da sempre l’homo religiosus di ogni epoca e luogo. L’esperienza del sacro è sempre potenzialmente platonica: guarda al mondo come a un riflesso di modelli celesti”.

Lei è un cacciatore i libri e frequenta i mercatini in cerca di edizioni antiche o rare. Ma un libro merita tanto amore? Non ne merita molto di più una passeggiata sul lungomare o una chiacchierata con un amico?
“Vorrei dire che sono cose incomparabili, ma non è così. La lettura di un libro è sempre un dialogo con donne o uomini, che per ovvie ragioni di spazio e di tempo non sono con noi. Niccolò Machiavelli racconta come di sera si vestisse di abiti degni per conversare coi maestri del passato. Son un modestissimo raccoglitore che ha un rapporto affettivo con ogni singolo volume che possiede”.

Chi è Maria per lei?
“Maria è la Madre del Dio-uomo. Come afferma la liturgia bizantina è “ricettacolo dell’Altissimo”, “tempio capace di Dio”, “tabernacolo sovraceleste”. La Vergine è il talamo sponsale tra il finito e l’infinito. Perciò, anche da un punto di vista laico, rappresenta un mistero paradossale, un luogo filosofico ed estetico fascinoso. In Maria il Logos incircoscrivibile di Dio, si è circoscritto e si è reso visibile, quindi rappresentabile nelle opere d’arte sacra. È raffigurabile con la mandorla, intersezione geometrica di due cerchi e di due realtà, nimbo divino, utero e porta del mondo invisibile. Questo è il simbolo, il segno-luogo dell’unione di cielo e terra”.

La bellezza è un tema a lei caro: appartiene al corpo, all’anima, a un dio?
“La bellezza è vera religione: si pensi a Platone, a Plotino, per cui il bello è Dio nell’attributo della bellezza. Il Cristo, nel testo greco del vangelo, dice di sé “io sono il pastore bello”, raccomanda ai discepoli “le azioni belle”. È necessità di perfezione e, quindi, di giustizia. Riguarda anime, azioni e corpi senza distinzione. Rispondo, infine, con Rilke: il bello non è che il principio del tremendo. E con la Campo: la vera bellezza dimora nel paesaggio, nel linguaggio, nel mito e nel rito. Impone un cambiamento di vita, la scoperta di un destino, una morte e una rinascita. Forse è per questo che il mondo attuale la fugge”.