LA TEOLOGIA DELL’ICONA NELL’INSEGNAMENTO DI OLIVIER CLÉMENT (1)

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Olivier Clément (1921-2009), cresciuto in una famiglia agnostica francese e convertitosi all’Ortodossia intorno all’età di trent’anni, dopo un lungo travaglio interiore, è stato uno dei massimi pensatori e teologi occidentali impegnati nella testimonianza e nella divulgazione, anche attraverso scritti destinati al grande pubblico, dell’eccezionale tradizione spirituale dell’Oriente cristiano. Oltre che protagonista di primo piano dei dibattiti teologici e dottrinali del Novecento, per la sua grande apertura intellettuale e la sua disponibilità al dialogo, è stato interlocutore privilegiato di personalità di spicco come il patriarca di Costantinopoli Atenagora e Papa Giovanni Paolo II. Fra i suoi testi figura anche una “Piccola introduzione alla teologia dell’icona” già pubblicata in Italia dal sito www.ansdt.it della Abbazia Nostra Signora della Trinità di Monfasso (PC) che volentieri riproproniamo, in più parti, agli amici de “I sentieri dell’icona”.

PICCOLA INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA DELL’ICONA
di Olivier Clément

Nella tradizione “ortodossa”, l’icona fa parte integrante della celebrazione. Si tratta di un’arte liturgica che non può essere isolata dal suo contesto ecclesiale: la Scrittura e il suo ampio commentario innografico, ricco di dottrina e di spiritualità.
Le immagini (icona, eikôn in greco significa immagine) sono apparse molto presto nel mondo cristiano: si conosce l’arte delle catacombe, arte funeraria piena della gioia della risurrezione. Ma quest’arte riprende la sua tecnica dall’arte romana o ellenistica del suo tempo e si limita a cristianizzarla tramite il gioco dei segni e dei simboli. A partite dal IV e dal V secolo appare l’icona che include i simboli nei volti, mentre la teologia trinitaria include l’essere nella comunione.
Tuttavia una corrente ostile alle immagini persiste nel cristianesimo, attinge argomenti di interdizione nell’Antico Testamento e nella paura (talvolta giustificata) dell’idolatria, spingendosi fino a uno spiritualismo dematerializzante: Altro argomento contro le immagini è il carattere pan-umano di Cristo, da cui l’impossibilità di rappresentarlo.
La crisi esplode intorno al 726 e va avanti fino all’843. Alcuni imperatori energici, strappando lo Stato dal caos che si era creato. Ingaggiano una lotta contro il monachesimo il quale, di fatto, limita il loro potere e sembra compromettere la vita sociale. Profezia del Regno di Dio, testimonianza di un Signore crocifisso, l’ideale monastico si inscrive nell’icona. Un’ampia politica di secolarizzazione appoggiata dall’esercito e dai teologi spiritualisti diventa allora iconoclasmo.
La crisi ha permesso di fondare e di purificare la venerazione delle sacre immagini. Contro una concezione puramente speculativa della trascendenza, la Chiesa sottolinea che il Dio vivente trascende la sua stessa trascendenza per rivelarsi in un volto d’uomo. L’icona per eccellenza, quella di Cristo, si giustifica con l’Incarnazione, anche perché il Figlio non è solo la Parola, ma anche l’Immagine (consustanziale) del Padre, “fonte della divinità”. «Nei tempi antichi – scrive san Giovanni Damasceno – Dio, incorporeo e senza forma, non poteva essere raffigurato sotto nessun aspetto; ma ora, poiché Dio è stato visto mediante la carne ed è vissuto in comunanza di vita con gli uomini, io raffiguro ciò che di Dio è stato visto»[1]. Perché, così come il Verbo si è fatto carne, la carne si è fatta Verbo. Il Damasceno respinge l’obiezione di chi considera la materia indegna e sottolinea che la grazia, in Cristo, ha penetrato la materia e ha liberato la sua potenziale sacramentalità. «Io non venero la materia, ma il Creatore della materia, che è diventato materia a causa mia… Venero la materia attraverso la quale è avvenuta la mia salvezza, poiché essa è piena di potenza e di grazia divina»[2].
Così, «quando colui che è immenso e sussistente nella forma di Dio si è invece ristretto alla misura e alla grandezza, dopo aver preso la forma di schiavo… riproduci la sua forma su di un quadro, ed esponi alla vista colui che ha accettato di essere visto. Di lui riproduci l’inesprimibile condiscendenza…»[3].
Questo è l’argomento fondamentale da Dionigi l’Areopagita a Teodoro Studita: in Cristo l’invisibile si fa vedere perché il Segreto è anche Amore. Antinomia che doveva sistematizzare nel XIV secolo san Gregorio Palamas, per il quale Dio è totalmente inaccessibile – essenza o sovraessenza – eppure si rende totalmente partecipabile nelle sue “energie”.
Da qui l’importanza nella teologia dell’icona del tema della trasfigurazione e dell’immagine “non fatta da mano d’uomo”.
(1-continua)

[1] Giovanni Damasceno, Contro coloro che rigettano le sacre icone. Discorsi apologetici contro coloro che calunniano le sacre immagini, I, 16, tr. it. di V. Fazzo, Roma 1983, p. 45.
[2] Ibid. pp. 45-46.
[3] Giovanni Damasceno, Contro coloro che rigettano le sacre icone, I, 8, ibid., p. 37.
[4] Matteo 17, 1-2.