PERCHÉ NELL’ICONA MANCA IL SORRISO? I MOTIVI TEOLOGICI

kazan2

Perché i volti raffigurati nelle icone non sorridono? Come mai il sorriso non costituisce un tratto peculiare dell’immagine iconografica? Qual è il significato, anche simbolico, di tale “assenza”? Sono domande che spesso ci si sente rivolgere da persone affascinate, ma con poca dimestichezza, con l’iconografia. L’autorevole e documentato sito www.pravmir.com, ripreso in traduzione italiana da quello altrettanto importante della parrocchia ortodossa russa di San Massimo vescovo, a Torino, ha proposto la risposta di Irina Konstantinovna Jazykova, storica dell’arte, titolare della cattedra di cultura cristiana presso l’Istituto Teologico Biblico di sant’Andrea e docente presso il seminario teologico di Kolomna. La riportiamo di seguito.

Va da sé che sorridere non è un peccato. Ma sorridere è un’emozione naturale – si potrebbe dire un’emozione terrena. Può anche essere la cosa più bella sulla terra, soprattutto se è il sorriso puro di un bambino, il sorriso gentile di una madre, o il sorriso sincero di un amico. Ma l’icona ci parla di qualcosa al di sopra della natura, è l’immagine di un’altra realtà, la realtà trasfigurata: è una immagine del Regno celeste.
L’icona non è un ritratto; è l’immagine trasfigurata e ideale di uomo. Pertanto, non c’è posto qui per lo psicologismo, le vivide espressioni del viso, o la rappresentazione di qualsiasi influenza. Nella terminologia iconografica, il viso è chiamato il volto [in russo: lik, termine che riflette il senso del greco prosopon], in quanto non mostra la condizione naturale dell’uomo, ma piuttosto la sua natura trasfigurata. Pertanto, il volto sull’icona dovrebbe essere come la superficie chiara dell’acqua, in cui si riflette il volto di Cristo.
L’apostolo Paolo scrive quanto segue circa la meta della vita cristiana: “Figli miei, di cui soffro le doglie finché Cristo sia formato in voi (Galati 4,19)”. Il Salvatore disse: colui che ha visto me ha visto il Padre (Giovanni 14:9), perciò il santo raffigurato su un’icona è una rappresentazione non solo di se stesso – ma per mezzo di lui, e con lui, ci troviamo di fronte a Cristo. In una parola, il significato e il contenuto delle icone è molto lontano da quello che sarebbe ammissibile nei ritratti, sia che siano realistici, d’avanguardia, o di qualsiasi altro tipo.

Naturalmente, questo non significa che ogni emozione deve essere bandito dall’icona. L’emozione è espressa nell’iconografia attraverso i gesti: il gioioso gesto benedicente dell’arcangelo Gabriele nell’icona dell’Annunciazione, la leggera elevazione delle mani in preghiera verso il cielo nell’immagine della Theotokos orante, o la mano pressata sulla guancia come espressione di sofferenza, con cui la Theotokos è raffigurata sotto la Croce, ecc. Si prenda comunque nota che il volto rimane spassionato, calmo e chiaro.
Immagini un po’ più emotive sono ammissibili nei pannelli di una icona raffigurante la vita terrena di un santo, ma anche qui solo in modo sobrio.
Gli occhi sono di importanza cruciale per l’icona. Nelle icone antiche erano raffigurati grandi, come se fossero spalancati. La nota espressione che “gli occhi sono lo specchio dell’anima” non si applica in nulla meglio che nell’icona. Gli occhi contengono anche la chiave emotiva dell’immagine. Confrontate diverse icone del Salvatore, e vi accorgerete che in una egli è misericordioso, in un’altra è severo, nella terza attento, nella quarta distaccato, e così via. L’accento sugli occhi crea l’effetto che non sei tu che stai guardando l’icona, ma è l’icona che guarda te, per così dire. Ma questa non è una questione di emozione, ma piuttosto di espressione. Non è un caso che l’archimandrita Zinon, l’eccezionale iconografo contemporaneo, dice che sulle icone c’è bisogno di rappresentare non tanto gli occhi, quanto piuttosto l’espressione.
Infine, la luce fornisce intensità emotiva nell’iconografia. Pertanto, gli affreschi e le icone di Teofane il Greco sono descritti come drammatici e pieni di energia, perché hanno una luce molto intensa, come se esplodesse da dentro. Al contrario, le icone di Andrej Rublev sono caratterizzate come tranquille, chiare, calme e contemplative, perché non hanno effetti di luce, lampi, o fasci di energia; invece, la luce si riversa uniformemente sulla superficie delle icone, cadendo dolcemente sulle colline e sugli indumenti tessuti, con i volti illuminati da una luce interiore. Allo stesso tempo, va rilevato che entrambi i maestri raffigurano l’espressione dei volti senza alcuna emozione esterna. Non troverete volti sorridenti nell’iconografia classica sia di Bisanzio sia della Rus’, perché questi sono i volti di coloro ai quali ci rivolgiamo in preghiera. Anche i personaggi secondari sono raffigurati quasi senza alcuna emozione attiva, anche se nei loro confronti vi erano requisiti meno rigorosi erano a posto con loro.
Per riassumere: nessuno sorride nelle icone non perché sorridere è un peccato, o perché il Regno dei Cieli è un luogo triste, ma piuttosto perché l’icona è una rivelazione non solo su Dio, ma anche sull’uomo; la natura umana dei santi rivela una profondità molto più grande di quanto siamo abituati a percepire nel nostro mondo di tutti i giorni.

Nella foto: Madre di Dio di Kazan’, Russia, tempera all’uovo su tavola, XVIII secolo

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *