LA “TRINITA'” DI RUBLEV SPIEGATA DAL TEOLOGO VETELEV (3)

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La Chiesa ortodossa ha commemorato il 4 luglio il santo iconografo Andrej Rublev, canonizzato nel 1998 primo fra tutti gli autori di icone conosciuti (la maggior parte sono ignoti in quanto, come si sa, le opere non vengono solitamente firmate e informazioni riguardo a maestri di particolare importanza sono giunte a noi attraverso i contemporanei) ad essere elevato all’onore degli altari. Rublev è iconografo noto per aver portato quest’arte al suo massimo splendore: le sue opere sono considerate ancor oggi dalla Chiesa come esempi da seguire e paradigmi a cui ispirarsi per realizzare tavole “canoniche”. Nella sezione “I documenti” di questo sito, riguardo ad Andrej Rublev è già disponibile da tempo la traduzione di una conferenza di Leonid Uspenskij, teologo, studioso scomparso nel 1987, autore di volumi fondamentali per la comprensione dell’iconografia come “Il senso delle icone”, scritto insieme a Vladimir Losskij, e “La teologia dell’icona”, pubblicato in Italia dall’editrice La Casa di Matriona. In occasione della memoria religiosa, invece, pubblichiamo, grazie al Centro Russia Ecumenica di Roma, la terza parte di uno studio (le prime due sono disponibili in questa stessa sezione del sito) dedicato all’icona più famosa di Rublev, la Santa Trinità, presentato nel 1972 dalla Rivista del Patriarcato di Mosca e scritto da Aleksandr Vetelev, docente all’Accademia ecclesiastica di Mosca. A quarant’anni di distanza, esso mantiene inalterato tutto il suo valore di approfondimento per comprendere l’importanza della Trinità e dell’intera attività iconografica di Rublev dal punto di vista dell’Ortodossia.

La dottrina della Chiesa ortodossa sulla Santissima Trinità
Tutta la pienezza della dottrina riguardante Dio è racchiusa nella dottrina trinitaria: Dio in Se Stesso, Dio nelle ipostasi (relazioni personali in quanto Padre, Figlio e Spirito Santo), Dio nei suoi rapporti col mondo e l’uomo. Filologicamente il termine Dio corrisponde alla radice veteroslava b’g, cioè bog (Dio), da cui bog-at-yi (ricco), bog-a-tstv-o (ricchezza), boñ-e-stv-o (divinità). La nostra teologia (bogoslovie) ha conservato questo significato del termine bog esplicando la ricchezza, pienezza, assolutezza, perfezione dell’essere di Dio e delle proprietà e caratteristiche di Lui: l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza, la sapienza, la bontà, la santità ecc. Queste proprietà sono comuni alle tre Ipostasi divine; le Loro relazioni vicendevoli possiedono l’amore, l’unità, l’eguaglianza, l’equidignità e le altre proprietà. La Santa Trinità abbraccia tutto il piano salvifico provvidenziale di Dio nel suo rapporto col mondo e l’uomo: la creazione del mondo, la salvezza dell’uomo per volontà del Padre, per l’amore redentore del Figlio, per i doni di grazia dello Spirito Santo. Tutta la pienezza delle relazioni, qualità, proprietà e perfezioni della natura divina è contenuta nelle parole “la Santissima Trinità”.
La Chiesa ortodossa confessa Dio Uno nell’essenza e Trino nelle persone, la Trinità nell’Unità e l’Unità nella Trinità, la Trinità “semplice, unisostanziale e indivisibile”. Nella liturgia quaresimale essa ci invita a glorificare la Santa Trinità quale attrice celeste della nostra salvezza, quale “Unità semplice”(tropario i del lunedì della prima settimana), “Trinità Protovivifica” (tropario 9 del martedì della prima settimana). Nella liturgia di Pentecoste essa ci invita ad adorare la “Trinità indivisibile”, la “Divinità Triipostatica”, a celebrare “il Padre inprincipiato con il Figlio coeterno e lo Spirito consustanziale e santissimo”, a lodare nella Trinità “l’unica forza, l’unica essenza, l’unica Divinità”[29]. Secondo san Gregorio il Teologo, “la parola Trinità significa… l’insieme degli eguali ed egualmente venerabili, dove il nome riunisce ciò che è per essenza unito”.
Tutta questa dottrina trinitaria dell’unisostanzialità, eguaglianza, indivisibilità, unità di spirito e d’amore delle Persone della Santa Trinità, dell’incarnazione e redenzione del genere umano da parte del Figlio di Dio, come pure degli ultimi destini del mondo e dell’uomo, tutta questa ricca teologia si rispecchia nell’icona della “Trinità” e vi è espressa con i mezzi figurativi e le tecniche iconografiche. Ora dobbiamo trattare di questi mezzi e tecniche per scoprire e leggere il profondo contenuto religioso-teologico racchiuso in questa icona.

I cerchi, i semicerchi, le linee
Come già detto sopra, la Santissima Trinità è la pienezza e l’onniperfezione di Dio in Se stesso, nelle Ipostasi triadiche, nell’economia della nostra salvezza. A questa pienezza e onniperfezione accennano anzitutto i cerchi e semicerchi dell’icona, i quali quasi completandosi vicendevolmente riempiono gli spazi centrali, laterali, superiori e inferiori dell’icona.
Le figure degli angeli sono disposte attorno a un altare quadrangolare e formano un cerchio orizzontale. Si avverte quest’ultimo soprattutto nella parte inferiore dell’icona, dove convergono le predelle degli scranni e i piedi degli angeli laterali e lo sguardo dello spettatore viene indirizzato alla predella invisibile del trono dell’angelo centrale dove il cerchio si chiude. Accanto al cerchio orizzontale si avverte nell’icona un cerchio più ampio, verticale, quasi iscritto nello spazio quadrangolare dell’icona medesima. Il punto superiore di questo cerchio è l’estremità superiore dell’aureola dell’angelo centrale, e da esso si può tracciare una linea curva che attraversa la testa, la schiena, le gambe dell’angelo di sinistra, la gamba stesa dell’angelo di destra, e poi via via, attraverso la schiena e la testa di questi, torna al punto di partenza. Così le figure degli angeli sono strette in due cerchi, orizzontale e verticale, che simboleggiano il nesso reciproco inscindibile, “la fusione in uno” degli angeli, la comunanza della loro natura, unità e perfezione. Anche la parte superiore della coppa con la testa dell’agnello, posta sull’altare, costituisce un cerchio non grande ma chiaramente avvertibile; lo attutisce la raffigurazione scura della testa dell’agnello sul fondo della coppa, la quale a sua volta viene attutita dalla bianca tovaglia che copre l’altare. Il cerchio della coppa è di dimensioni ridotte, eppure è il più importante per il suo significato ideale. È il cerchio dei cerchi, attorno al quale si concentrano tutti gli altri. Ad esso gravitano le figure degli angeli, le loro destre, le loro dita. Il cerchio della coppa-calice, o meglio l’Agnello di questa, costituisce il centro ideale, l’anima, il movente dell’icona e ne condiziona la vita interiore segreta e tutta la composizione strutturale.
Tre cerchi nell’icona saltano agli occhi, non grandi, eguali, lucenti, gravitanti l’uno verso l’altro: le aureole intorno alle teste degli angeli. Sullo sfondo di una giornata soleggiata essi si staccano con lo splendore della loro purezza e luminosità, simboleggiando la luce, la purezza, la santità, l’illibatezza di ciascuna delle tre Persone divine e perciò stesso della Santa Trinità. Alle aureole circolari corrispondono le teste e i volti arrotondati di ciascun angelo, e con tutto questo armonizzano i cerchi minori degli anelli che raccolgono i capelli e perfino i cerchi minimi ma espressivi delle occhiaie.
Passando ai semicerchi, conviene anzitutto notare la linea semicircolare delle spalle e della parte superiore delle ali degli angeli. Nulla esprime in modo tanto compatto e visibile la vicinanza e il nesso fra gli angeli quanto le ali che si toccano. I quattro semicerchi delle ali sono come quattro creste di un’onda, che si riversa da angelo ad angelo, dell’amore, della sapienza e della forza della Divinità triadica. Anche i lineamenti dell’albero accanto alla testa dell’angelo centrale e della montagna sopra la testa dell’angelo di destra sono semicircolari.
Questi dettagli iconografici possiedono un simbolismo estremamente ricco. L’albero simboleggia sia l’albero del paradiso che l’albero della croce: a causa dell’albero paradisiaco “del bene e del male” cadde il primo Adamo, a causa dell’albero della croce il Secondo Adamo (Cristo) risollevò, rivivificò e fece risorgere il primo.
La montagna arrotondata dell’icona simboleggia il Moria, che a sua volta aveva prefigurato il Golgota; allo stesso tempo simboleggia la Vergine, che la Sacra Scrittura (Sl 67, 16-17; Dan 2, 34) e i testi liturgici (per esempio la terza stichira e la canzone nona del canone dell’Annunciazione) chiamano “montagna”; infine la montagna è “l’elevazione dello spirito”.
L’inclinazione dell’albero asseconda l’inclinazione dell’aureola e della testa dell’angelo centrale, quasi simboleggiando che prende parte alle meste riflessioni di questi.
Il semicerchio della montagna sopra la testa dell’angelo di destra ricorda quasi una seconda aureola molto grossa e pesante e simboleggia la raddoppiata pensierosità e mestizia di questo angelo che, inoltre, è anche ricurvo.
Così non solo i cerchi ma anche i semicerchi c’introducono nell’armonia generale, nella vita segreta e occulta dell’icona, simboleggiando la tendenza anche della natura esteriore (fisica) a piegarsi al piano divino della salvezza e a collaborare perché si realizzi pienamente.
L’icona del nostro monaco si distingue per una particolare ricchezza di linee rette, spezzate, parallele, incrociate ecc. Le ravvisiamo ai bordi e nella porticina dell’altare, nel disegno degli scranni con i relativi piedi, nell’architettura del tempio, negli scettri degli angeli ecc. In tutti i dettagli ricordati predominano le linee rette e possiedono un significato costruttivo determinando la forma e la stabilità di ciascun dettaglio.
Un significato diverso hanno le linee delle vesti e dei volti degli angeli. Nell’angelo centrale l’estremità del mantello gettato sulla spalla sinistra cade sull’altare in un fiotto di linee rette e spezzate che formano singolari figure geometriche: triangoli, rombi ed altre. Queste linee conferiscono all’azzurro del manto movimento, ampiezza, beltà e vivezza. Il ginocchio destro rialzato dell’angelo di sinistra modifica il drappeggio del manto: le linee da inclinate e ondose si spezzano in varie direzioni. Il piede viene a trovarsi in una posizione alquanto angusta e si stringe all’altare cambiando la sua posizione naturale. Un osservatore attento avverte questo particolare e ne soffrirebbe se la stretta simmetria nella posizione delle gambe dei due angeli laterali non lo superasse, attutendolo e sciogliendolo in quell’armonia mirabile generale che tanto colpisce e conquista nell’icona del nostro monaco. Questi dà al naso degli angeli le linee diritte delle antiche statue, conferendo così ai loro volti severità classica e allo stesso tempo leggerezza e spiritualità.
Ogni linea è simbolo di movimento e superamento dell’estensione spaziale. Al movimento è insita non solo una direzione nello spazio ma anche una regolare intensità nel tempo, cioè la ritmicità. Nei volti di Andrej Rublëv prevale un ritmo ampio, leggero, pacato. La sua icona vive e respira non solo del potenziale spirituale (degli occhi e dei volti angelici), della luminosità dei colori delicati e soffici, ma anche del ritmo pacificante del moto delle linee circolari, semicircolari, rette, spezzate, incrociate ecc.
Passiamo agli altri dettagli che evidenziano l’intenzione teologica dell’iconografo e il contenuto ideale dell’icona.

Gli scranni, l’altare, la coppa, il tempio
L’altare-mensa riunisce gli angeli che siedono attorno su scranni bassi e leggeri – i troni forniti di piedi. Su simili troni siedono di solito famosi signori oppure personaggi reali e potenti. Nella concezione spirituale l’altare e il trono vengono associati al Trono di Dio e sono simboli della grandezza, della gloria e della forza divine. La vocazione dei cori angelici, anche i più sublimi (cherubini e serafini), è quella di circondare il Trono di Dio e celebrare le Persone della Santa Trinità assise in trono.
Nell’icona del nostro monaco sono gli angeli a sedere in trono. Ciò sottolinea che essi non sono semplici angeli bensì le Ipostasi divine che essi personificano. I troni dei due angeli laterali stanno di sbieco alla mensa; il loro lato frontale si divarica dalla mensa e di conseguenza anche le gambe, le figure, i volti, gli sguardi degli angeli assisi. Questi ultimi siedono di mezzo profilo e guardano per metà la mensa e per metà lo spettatore. Disponendo gli angeli in questa maniera l’iconografo ha messo in pratica uno dei canoni fondamentali dell’iconografia: ha aperto allo spettatore i volti dell’icona per agire su di lui con tutta la forza della loro potenzialità spirituale che è concentrata al massimo nel volto e nello sguardo della figura. Di conseguenza anche la coppa con l’Agnello è spostata dal centro verso questi due angeli laterali. E questo perché nell’opera del piano salvifico di Dio a essi tocca una parte non minore ma eguale.
L’altare-mensa è di proporzioni notevoli e di forma quasi cubica e posa sulle predelle dei troni angelici. Lo ricopre una tovaglia immacolata, tanto bianca e trasparente da lasciarne intravedere la profondità interiore e la capienza enorme. Assieme alle Ipostasi della Santissima Trinità esso ci viene presentato non come mensa celeste ma mensa salvifica, destinata ad accogliere l’uomo. Perché l’altare-mensa-trono celeste è circondato dai cherubini e serafini con le teste abbassate e i volti coperti, i quali in sacro timore e inesplicabile beatitudine cantano, esclamano, gridano e dicono il “Trevolte Santo”, come fu rivelato al profeta Isaia (6, 3), al profeta Ezechiele (10, 14 e 20), all’apostolo Giovanni (Apc 4, 7-8).
La coppa. Sulla mensa sta una coppa-calice con l’Agnello del sacrificio. “Già i primi osservatori scrive N.A. Demina – hanno rilevato che la “Trinità” di Rublëv è un immagine dell’Eucarestia”. Più precisamente “bisogna vedere nella coppa una figura dell’Eucarestia”[41]. Ma essa possiede anche altri significati simbolici. Nella Sacra Scrittura troviamo il “calice” delle sofferenze e delle persecuzioni (Mt 20, 22-23), il “calice” dei peccati e delle iniquità (Lc 11, 39), il “calice” dell’agonia del Getsemani (Mc 14, 36) e infine il “calice” del Nuovo Testamento l’Eucarestia (Mt 26, 27-28). Quale è anzitutto il calice dell’icona? È naturale pensare prima di tutto alla coppa che ha dato origine a tutte le altre – la coppa dei peccati e delle iniquità umane che ha generato il calice del Getsemani, del Golgota e quello eucaristico. Questa prima coppa ha lasciato l’impronta sui volti degli angeli, ricoprendoli di una certa sacra mestizia e di amore compassionevole per l’uomo che ha peccato e pecca. Se vogliamo trovare nell’icona il posto simbolico di questa prima coppa, di questo “abisso del peccato”, lo vediamo nella grande coppa che si delinea fra i piedi degli angeli laterali sotto la mensa. E allora si fa più chiaro il significato del calice con l’Agnello del sacrificio, posto sulla mensa “vuota”, l’immensa coppa dei peccati umani e delle calamità a essi collegate. La coppa della “Trinità” simboleggia la coppa della vita, la coppa della sapienza e il calice della morte, cioè tutti i momenti fondamentali della vita in genere e di quella russa in specie. Le narrazioni e leggende del passato recente (per Rublëv) dicevano che “tutti erano morti presto e avevano bevuto il calice della morte”. Nella battaglia di Kulikovo i combattenti russi vuotano “la coppa della morte in battaglia”.
Per Andrej Rublëv e gli uomini del suo tempo la “coppa”della Trinità era il centro focale di sentimenti profondi e gravi a causa delle calamità del tempo, ma animati da una speranza invincibile di un futuro migliore. “Nella sua “‘Trinità” – dice N.A. Demina – la coppa della morte è pegno di vita del secolo futuro”. Come vediamo, l’icona della “Trinità” dischiude le profondità nascoste della vita e i misteri del sacrificio redentorio di Cristo. Essa ci dice che l’amore divino è un amore salvifico e pronto al sacrificio, che sulla terra non c e ne ci può essere un amore così grande, così universale, così sempiterno come l’amore di Cristo.
Il tempio. Sopra la testa dell’angelo di sinistra s’innalza il profilo di un tempio. Non si tratta di una chiesa vera e propria ma soltanto di un accenno. Nell’Antico Testamento il tempio di Gerusalemme venne costruito molto dopo Abramo e in esso venivano offerti sacrifici prefigurativi. Coll’avvento del Nuovo Testamento s’incominciò a costruire chiese cristiane per la preghiera comune e il sacrificio eucaristico incruento. Il tempio delineato nell’icona possiede come due piani: quello inferiore simboleggia il Vecchio Testamento, quello superiore il Nuovo, e questi due piani possiedono anche altri significati simbolici. Questo tempio che si eleva sopra la testa dell’angelo di sinistra (che è Cristo) sembra proseguire e completare la di Lui rappresentazione iconografica, accennando simbolicamente alle due nature, umana e divina, di Cristo. Infine i due piani costituiscono un simbolo dell’unione del cielo e della terra, della Chiesa terrena e celeste sotto la guida dell’unico Mediatore e Capo, Gesù Cristo il Figlio di Dio.

Aleksandr Vetelev
(III – continua)

Nella foto: una sala del museo dedicato ad Andrej Rublev a Mosca

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