LA “TRINITA'” DI RUBLEV SPIEGATA DAL TEOLOGO VETELEV (2)

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La Chiesa ortodossa ha commemorato il 4 luglio il santo iconografo Andrej Rublev, canonizzato nel 1998 primo fra tutti gli autori di icone conosciuti (la maggior parte sono ignoti in quanto, come si sa, le opere non vengono solitamente firmate e informazioni riguardo a maestri di particolare importanza sono giunte a noi attraverso i contemporanei) ad essere elevato all’onore degli altari. Rublev è iconografo noto per aver portato quest’arte al suo massimo splendore: le sue opere sono considerate ancor oggi dalla Chiesa come esempi da seguire e paradigmi a cui ispirarsi per realizzare tavole “canoniche”. In occasione della memoria religiosa, invece, pubblichiamo, grazie al Centro Russia Ecumenica di Roma, la seconda parte di uno studio (la prima è disponibile in questa stessa sezione del sito) dedicato all’icona più famosa di Rublev, la Santa Trinità (nella foto), presentato nel 1972 dalla Rivista del Patriarcato di Mosca e scritto da Aleksandr Vetelev, docente all’Accademia ecclesiastica di Mosca. A quarant’anni di distanza, esso mantiene inalterato tutto il suo valore di approfondimento per comprendere l’importanza della Trinità e dell’intera attività iconografica di Rublev dal punto di vista dell’Ortodossia.

L’epoca e il motivo
Già dalla prima fanciullezza San Sergio di Radoneñ aveva coltivato un rapporto spirituale con Dio particolarmente intenso. L’unione con Dio costituiva il significato fondamentale della vita e la fonte dell’aiuto in tutte le fatiche e contrarietà della sua vita eroica. Col tempo questa comunione con Dio s’andò sempre più intensificando e già all’età di vent’anni Sergio assieme al fratello maggiore Stefano si ritirò, ispirato da Dio, nel bosco di Radoneñ per vivere di preghiera e ascetismo nella solitudine. Non fa meraviglia che la chiesetta di legno che egli vi eresse fosse dedicata al Dio Vivo celebrato nella Trinità, ossia alla “Vivificante Trinità” come egli diceva. Questo voleva dire che d’ora in poi tutte le sue fatiche, privazioni, contrarietà, preghiere, dovevano riportarsi alla Trinità Vivificante.
Il giovane Sergio (che allora si chiamava ancora Bartolomeo) avverti particolarmente la necessità di tale aiuto e difesa quando il fratello Stefano lo lasciò per ritirarsi nel monastero moscovita dell’Epifania. In cella, nella chiesetta, nel bosco, in ogni luogo, Sergio era in continua unione di preghiera con la Santa Trinità, cercando aiuto e conforto fra le “paure” e le privazioni della sua esistenza solitaria e dura.
Ben presto a Sergio si associarono altri monaci, crebbero le sue preoccupazioni e s’intensificarono le preghiere alla Santa Trinità: la comunione con Lei allargava il cuore del giovane asceta, lo rendeva umile e sensibile non solo alle necessità dei confratelli ma anche alle calamità e alle tribolazioni della terra patria. Egli introdusse la regola della vita comune, il lavoro obbligatorio per tutti e la preghiera comune; allo stesso tempo instillò nei monaci il suo amore per la Santa Trinità e l’abitudine della continua preghiera a Lei. In quei tempi sinistri (invasioni tatare, fame, peste, lotte fratricide) tale comunione di preghiera era particolarmente necessaria. Come scrive il suo agiografo, Sergio “fondata la comunità monastica, eresse la chiesa della Santa Trinità quasi specchio per coloro che aveva raccolti in comunità, perché contemplando la Santa Trinità venisse superato l’orrore dell’odio che lacera questo mondo”. In quei tempi difficili e sinistri s’aggregò ai monaci anche Andrej Rublëv. Egli apprese dalla comunità l’amore per l’igumeno Sergio, per la Santa Trinità e l’amore e la cura per il monastero e la terra patria. Qui nel monastero di Radoneñ incominciò a sviluppare il suo talento naturale e l’inclinazione per la pittura, assieme al monaco Daniil „ërnyj. Sorprende e commuove l’amicizia di questi due giovani iconografi che per tutta la vita appresero l’uno dall’altro la vita spirituale e l’arte iconografica. Un’opinione sostenuta anche da J.E. Grabar dice che Daniil fu direttore e “precettore” della vita spirituale e Andrej dell’arte iconografica.
Essi s’impossessarono di quest’ultima soprattutto attraverso la contemplazione delle icone nelle chiese e la comunione spirituale di preghiera con le medesime. Di questo scrive San Iosif Volokolamskij che visse cent’anni più tardi († 1515): “Nella festa della Resurrezione essi, sedendo negli stalli, guardavano senza interruzione le venerabili icone riempiendosi di santa allegrezza e luce. Lo stesso facevano anche nell’altro tempo quando non dipingevano”. Così attraverso le icone essi conseguivano una comunicazione gioiosa col mondo spirituale celeste e s’immergevano nella meditazione del divino. Nelle icone si dischiudeva a loro il mistero dell’essere superno, “le rappresentazioni visibili degli spettacoli misteriosi e soprannaturali”, come scrive Dionigi l’Areopagita. Per loro la severa bellezza esterna dell’icona rifletteva la purezza, la sublimità e santità del contenuto spirituale ed elevava la mente al prototipo celeste. Allo stesso tempo l’icona insegnava loro l’arte dell’iconografia. Nelle icone essi cercavano anche risposta immediata ai loro problemi pittorici, alle loro difficoltà e allo stesso tempo i modelli da imitare. Prima di prendere i pennelli, essi “immaginavano le loro icone incarnate in linee e colori”. Molto istruttivo per loro fu contemplare, oltre alle vecchie icone bizantine, le icone del loro celebre contemporaneo Teofane il Greco. All’evoluzione del talento pittorico di Andrej Rublëv e del suo amico furono di non poco giovamento la conoscenza di Teofane e anche degli iconografi e architetti di chiese e monasteri del nord: il beato Dionisij GluÓickij, Prochor di Goredec e altri. I due amici monaci pittori dovettero anche immergersi nella lettura della Sacra Scrittura e dei Padri, dei testi liturgici, delle vite dei santi, delle cronache e simili. Tutte queste fonti li aiutavano a scoprire il senso ideale e storico per le future creazioni. L’alta perfezione di queste ultime dipende non meno dalla continua preparazione spirituale, dal digiuno, dalla preghiera, dalle lacrime che precedevano il lavoro di dipingere. Probabilmente a tutto questo alludono i cronisti quando li definiscono “digiunatori”.
Già nei primi anni della sua attività pittorica, dell’esercizio ascetico e della maturazione a esso connessa, il monaco Andrej dovette riflettere sull’imperfezione della raffigurazione della Santa Trinità nelle icone bizantine che andava osservando. Queste ultime avevano per base ideale e storica fondamentale la promessa del figlio Isacco, che Dio fece ad Abramo. Perciò anche gli angeli che gli erano apparsi, e che le icone raffiguravano, erano sentiti piuttosto come angeli-messaggeri della volontà divina che come Persone della Santa Trinità. Come raffigurare degli angeli che simboleggiassero in maniera più chiara le Persone della Santissima Trinità? A quel tempo il nostro monaco non aveva né la preparazione sufficiente né il motivo per una seria elaborazione del problema. Abbiamo già detto come i susseguenti lavori iconografici nelle chiese di Zvenigorod, Mosca, Vladimir, durati molti anni, abbiano dato al monaco Andrej la necessaria preparazione. La preghiera del beato Nikon, igumeno del monastero di Radoneñ, di dipingere “un’icona della Santa Trinità a lode del padre Sergio”, gli diede il motivo di lavorare a una icona nuova della Santa Trinità. Il venerabile Sergio venne ritenuto santo già da vivo e dopo la sua morte (1392) la sua gloria invece di offuscarsi crebbe. Nel 1422 venne ascritto al numero dei santi ed Epifanij Premudryj (suo discepolo) ne scrive il Panegirico. “A lode” di San Sergio venne iniziata nel 1422 la costruzione di una chiesa in pietra dove dovevano riposare le sue ossa. Forse l’igumeno Nikon ordinò a Andrej Rublëv l’icona della Trinità perché nella nuova chiesa dedicata alla Trinità Vivificante ci fosse anche l’icona titolare della Santissima Trinità e così venisse sottolineato il compito principale di quel tempio: la Santa Trinità doveva essere “specchio” non solo per la comunità monastica ma anche per il popolo russo. “Perché guardando costantemente alla Santa Trinità – scrive Epifanij – venisse superato l’orrore dell’odio che lacera questo mondo”. All’appello dell’igumeno Nikon il monaco Andre), ormai anziano, si ripresentò al suo monastero. E così era per lui scoccata l’ora di mettersi al lavoro per conferire all’icona della Trinità un significato neotestamentario, cristiano, e mostrare in modo più convincente sotto il simbolo degli angeli le tre Ipostasi della Santissima Trinità.

La Santa Trinità nelle icone bizantine e le innovazioni di Andrej Rublëv
Come già accennato sopra, al tempo del monaco Andrej la Santa Trinità veniva rappresentata nelle icone sulla traccia del racconto biblico dei tre angeli-pellegrini apparsi ad Abramo e Sara per comunicare la promessa divina di un figlio (Isacco). L’icona rappresentava appunto questo avvenimento con tutti i personaggi e i dettagli dell’accoglienza e del pasto consumato dagli angeli ospiti. Coll’andar del tempo s’incominciò a ravvisare negli angeli le tre Persone della Santa Trinità. Ciò era avvenuto già a Bisanzio e da lì le icone trinitarie erano venute in Russia stimolando gli iconografi russi all’imitazione. Anche i testi liturgici davano motivo alla tendenza di rappresentare la Santa Trinità sotto il simbolo dei tre angeli apparsi ad Abramo: i tropari della compieta domenicale e l’autorità dei santi Padri interpretavano l’apparizione degli angeli ad Abramo come apparizione delle tre Persone della Santa Trinità.
Il monaco Andrej nel rappresentare la Santa Trinità apportò in sostanza le seguenti innovazioni.
Sono scomparsi Abramo e Sara, è scomparso il servo che uccide il vitello per gli ospiti. Le varie vivande – pane, vino, olio, arrosto (Gn. 18, 6-8) hanno fatto posto a una coppa con la testa d’un vitello. Alla tenda di Abramo è subentrata una costruzione a due piani di stile antico che ricorda un tempio; la costruzione s’eleva sopra la testa dell’angelo di sinistra all’angolo superiore dell’icona. I bastoni dei pellegrini si sono trasformati in scettri regali. La quercia di Mambre è diventata un alberello fortemente inclinato. Le tre montagne si sono fuse in un unico semicerchio sopra la testa dell’angelo di destra. Cambiata la cornice che li attornia, doveva cambiare il modo di raffigurare gli angeli stessi e il loro significato simbolico risultò più chiaramente definito.
Che cosa spinse il monaco Andrej a questi cambiamenti nella composizione dell’icona della Santa Trinità? Ci sia permesso esporre qui alcune considerazioni al riguardo.
Il pio monaco osservando le icone bizantine tradizionali della Trinità e preparandosi a dipingere questo soggetto non poté non studiare i materiali biblici riguardanti il patriarca Abramo e le interpretazioni che ne diedero i Padri, per trovarvi anzitutto suggerimenti per una possibile raffigurazione nuova, puramente neotestamentaria, della Santa Trinità sotto il simbolo dei tre angeli. E qui la sua contemplazione e meditazione non poterono non arrestarsi al più importante evento della vita di Abramo la sua obbedienza alla volontà di Dio nell’offrire il figlio Isacco in sacrificio a Dio sulla sommità di uno dei monti del Moria (Gn 22, 1-18). Con tale obbedienza Abramo aveva mostrato d’essere pronto a mantenersi fedele a Dio in ogni circostanza, e suo figlio aveva mostrato di essere obbediente al padre e a Dio fino alla morte. Ambedue avevano dimostrato di amarsi a vicenda e di amare Dio fino al sacrificio ed essere pronti alla separazione per essere fedeli a questo amore e a questa dedizione a Dio. Il beato Efrem il Siro, contemplando in ispirito questo avvenimento sul Moria, vi aveva scorto un significato simbolico prefigurativo: quanto stava per avvenire sul Moria aveva prefigurato quanto poi avvenne realmente sul Golgota.
Egli vi scorse come due serie parallele di eventi: il padre (Abramo) ama suo figlio e il figlio lo contraccambia; ma la volontà di Dio deve essere compiuta (il sacrificio di Isacco) e ambedue sono perfettamente disposti a compierla. Dio Padre ama il Figlio Unigenito e il Figlio ama ab aeterno il Padre di amore divino; ma la volontà dell’Eterno Consiglio, cui partecipano tutte e tre le Persone della Santa Trinità, deve essere adempiuta: il Padre deve consegnare il Figlio alle sofferenze e alla morte, e il Figlio deve vuotare questo calice.
Questo Eterno Consiglio della Santa Trinità costituisce il momento originario, predeterminante, del sacrificio redentore di Cristo: lo sapevano i Padri e non poteva ignorano il pio monaco Andrej, istruito nelle cose divine. Il nostro iconografo trovò nell’idea di questo Eterno Consiglio la chiave per risolvere il compito della composizione e raffigurazione ideale della Santa Trinità. Nella sua icona noi vediamo appunto il Consiglio della Santissima Trinità; non quello originario, inconoscibile e irrappresentabile che precedette la creazione del mondo, ma il Consiglio che l’iconografo ha raffigurato convenzionalmente adattato al piano dell’economia salvifica nel tempo, ai suoi momenti più importanti per la salvezza dell’uomo.
Questi momenti, anche se in gradi diversi, trovano riflesso nell’icona di Andrej Rublëv. Il tempo che precede l’evento biblico sotto la quercia di Mambre è indicato dalle immagini dell’ambiente naturale (la terra, il monte, l’aria, la luce ecc.); il tempo di Abramo è indicato dagli angeli in veste di pellegrini e anche dall’albero, dalla montagna, dall’altare con la porticina sul davanti che simboleggia il fuoco degli olocausti; il tempo che segue, ed è collegato all’incarnazione del Figlio di Dio, è indicato dalla figura del Salvatore stesso (di cui diremo in seguito), dalla coppa con l’Agnello destinato all’immolazione “ancor prima della creazione del mondo” (1 Pt 1, 19-20), dal tempio dove prima venivano offerti i sacrifici veterotestamentari e poi il sacrificio eucaristico neotestamentario; i tempi futuri sono simboleggiati dall’espressione dei volti, dall’inclinazione dei personaggi e dalla direzione degli sguardi degli angeli. In tal modo la “Trinità” di Rublëv presenta in maniera profonda la storia della salvezza e raffigura simbolicamente l’opera della nostra salvezza nelle persone, nei tempi e negli avvenimenti più importanti e decisivi.
D’altra parte quest’opera mirabile possiede il sigillo dell’atemporalità, dell’eternità. Da essa ci guarda la Divinità Triipostatica. Per Dio imprincipiato ed eterno il tempo non esiste; il tempo impera dove avvengono i cambiamenti incessanti in seguito alla morte del vecchio e alla nascita del nuovo. Dio invece, perché Essere assoluto, è immutabile e, per ciò stesso, fuori del tempo (Sl 89, 5). L’icona del nostro monaco pneumatoforo spira simile atemporalità, simile ebrietà e perfezione di vita interiore della Divinità, e produce la massima impressione sullo spettatore appunto per queste proprietà della Divinità Triipostatica: l’amore reciproco fino al sacrificio, la pace imperturbabile, l’unità indivisibile e la pienezza della quiete divina. Nell’icona quanto è temporale e transitorio è collegato all’uomo e alla sua salvezza; l’uomo e invisibilmente presente anche se non raffigurato. Rublëv ha raffigurato la salvezza dell’uomo, che avviene nel tempo, come sgorgante dall’eterno amore di Dio per l’uomo. L’ispirato monaco s’è sforzato di risolvere per mezzo dell’eterno anche i problemi esistenziali più importanti della sua epoca (l’odio lacerante, l’invasione tatara, la fame ecc.) mostrando agli uomini l’amore divino eterno e sublime, la pace, l’unità nelle relazioni divine. Così nell’opera immortale del nostro monaco s’intrecciano l’eterno e il temporale, e convivono. Per comprendere meglio il simbolismo molto complesso e molto ricco dell’icona di Rublëv, consideriamo anzitutto la dottrina ortodossa di Dio, Uno e Trino nelle linee più brevi e generali direttamente connesse al simbolismo dell’icona medesima.

Aleksandr Vetelev
(II – continua)

Nella foto: un’immagine tratta dal film di Andrej Tarkovskij dedicato al santo iconografo

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