LA “LEGGE” DI ALEKSANDR MEN’: “SEGUIRE CRISTO IN TUTTO”

image

Il 9 settembre 1990, lungo il sentiero circondato da betulle che conduce dalla sua abitazione, nei sobborghi di Mosca, alla vicina stazione ferroviaria, una mano rimasta ignota pone fine alla vita di padre Aleksandr Men’, sacerdote ortodosso russo che si sta recando, per celebrare la Divina liturgia, presso la sua parrocchia di Novaja Derevnja. Padre Men’ oggi è ricordato come l’apostolo della della sua amata patria nel XX secolo: un uomo che a tutti, instancabilmente, con la passione di chi ha visto la Salvezza con i propri occhi, ha annunciato Cristo presente e compagno nel cammino della vita. E questo suo annuncio, attraverso i numerosi libri da lui scritti e diffusi nel samizdat sotto pseudonimi, attraverso un’amicizia fedele e tenera, attraverso le lezioni che negli ultimi anni – il periodo della perestrojka – teneva a ritmo serratissimo ovunque, perché ovunque (alla radio, alla televisione, nelle scuole, nei circoli culturali) era un ospite ambito, ha raggiunto tutta l’Unione Sovietica. Nel 2006 il Centro Russia Cristiana di padre Romano Scalfì, di cui padre Men’ è stato amico e frequentatore fino alla fine dei suoi giorni, ha dedicato al sacerdote – uno dei tanti martiri della fede del XX secolo – una mostra curata dal fratello, Pavel Men’, e da Giovanna Parravicini, responsabile della “Biblioteca dello Spirito” di Mosca. Riportiamo l’articolo di presentazione che serve a illuminare, in maniera necessariamente succinta, la figura di questo straordinario sacerdote (nella foto sopra, un’icona contemporanea a lui dedicata).

L’Unione Sovietica era un paese retto da leggi inflessibili che dovevano rendere l’uomo migliore e la società perfetta. Ma queste leggi erano in realtà contro l’uomo, paralizzavano la sua coscienza, gli toglievano il senso di responsabilità, gli impedivano il rischio della libertà. In questo paese un sacerdote ortodosso, padre Aleksandr Men’, ha seguito un’altra Legge che lo ha liberato da ogni condizionamento esteriore: seguire Cristo in tutto, e in ogni cosa cogliere la sua presenza.
Aveva imparato che il Mistero era una presenza familiare fin da piccolo, quando la mamma lo portava in una piccola comunità cristiana nelle catacombe; aveva capito allora che questo Mistero ha assunto un volto umano ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. A 14 anni Aleksandr Men’ aveva cominciato a scrivere un libro sulla Persona di Cristo, che lo aveva così profondamente colpito, lui ebreo di nascita, battezzato negli anni più tremendi delle persecuzioni antireligiose. Questo libro, intitolato poi “Il Figlio dell’Uomo”, avrebbe continuato a scrivere per tutta la vita, terminandolo pochi giorni prima di morire.
Accettando con serenità tutti gli ostacoli che la legge dello Stato gli metteva davanti (l’impossibilità di iscriversi alla facoltà di filosofia perché ebreo, l’espulsione dall’università alla vigilia della laurea perché ortodosso, la difficoltà ad entrare in seminario, i continui trasferimenti da una parrocchia all’altra, l’impossibilità di predicare) padre Men’ sapeva che questi ostacoli servivano solo a rendere più vera la sua sequela di Cristo dentro ogni realtà, dai grandi eventi storici ai piccoli fatti quotidiani. E predicava instancabilmente Cristo, Lui solo, senza fermarsi a criticare l’oscurità dei tempi. Lo sosteneva la fede certa che la grandezza della ragione umana sta nell’imparare a scorgere le tracce di questa Presenza, che sola può colmare la sete di felicità e di infinito dell’uomo: per questo era un uomo vivo e pieno di gioia, è questo che lo ha reso tanto affascinante agli occhi di migliaia, milioni di persone che per lui si sono convertite, sullo sfondo dell’ideologia ufficiale che annunciava un progresso costruito a spese della persona umana, livellata e ridotta a ingranaggio del sistema.
Negli anni ’80, forse i più duri della sua vita, era convocato quasi quotidianamente alla Lubjanka, quartier generale del KGB. Inoltre, accoglieva ogni giorno un flusso incessante di persone che si rivolgevano a lui, guidava il moltiplicarsi di comunità di laici che seguivano il suo metodo educativo, scriveva clandestinamente libri per divulgare il cristianesimo. Questo suo modo d’essere lo rendeva estremamente temibile agli occhi del regime, anche se lui non si esprimeva mai in merito a questioni politiche. Sebbene l’esistenza delle sue comunità e la sua stessa vita fossero talvolta in serio pericolo, incontrandolo si percepiva che era un uomo lieto, libero, innamorato della vita, che amava in tutti i suoi aspetti, dall’amicizia alla natura: apprezzava la bellezza, amava cantare e suonare, stare in compagnia, gustare la buona tavola… Ma in tutto ciò – era evidente – il suo sguardo trapassava ogni cosa, e così facendo orientava anche quello dei suoi interlocutori, per fissarsi sul Vivente che gli era incessantemente compagno.

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *