LE ICONE DEI ROMANOV E LE RAGIONI DELLA CANONIZZAZIONE

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Qual è, a parte la morte cruenta (che pure costituisce di per sé una motivazione non secondaria), la ragione per la quale la Chiesa ortodossa russa ha canonizzato, nel 2000, lo zar Nicola II (nella foto, in un’icona contemporanea), ucciso dai bolscevichi insieme alla famiglia reale dopo la Rivoluzione d’Ottobre, e i suoi congiunti assassinati a Ekaterinburg? Quali sono stati i motivi per i quali all’ultimo monarca della Russia sono stati riservati gli onori degli altari? Che differenze esistono fra la procedura canonica prevista dalla Chiesa cattolica e quella della Chiesa ortodossa? Sono le domande che, in una lettera pervenuta alla redazione, ha rivolto un lettore, Gianfranco da Ascoli. Gli rispondiamo proponendo una riflessione del cardinale Fiorenzo Angelini, oggi 96enne, scritta per il mensile “30Giorni” proprio nel 2000, all’indomani della solenne cerimonia di canonizzazione svoltasi a Mosca. Oggi le icone che raffigurano lo zar e la sua famiglia si trovano praticamente ovunque, in terra russa. L’articolo del porporato costituisce una significativa testimonianza anche rispetto alle riserve, manifestate pure in Occidente, di fronte a tale decisione e, sul versante opposto, al rischio che esse potessero, allora come ora, celare nostalgie monarchiche nella grande Russia.

Il 14 agosto 2000, il Sinodo dei 146 vescovi della Chiesa ortodossa russa, presieduto da Alessio II, patriarca di Mosca e di tutta la Russia, ha preso all’unanimità e a porte chiuse la decisione di canonizzare l’imperatore Nicola II (1868-1918) e i membri della sua famiglia: l’imperatrice Alessandra, 46 anni, l’erede al trono Alessio, 14 anni, le principesse Olga, 23 anni, Tatjiana, 21 anni, Maria, 19 anni e Anastasia, 17 anni. Con loro sono stati dichiarati santi 1148 “nuovi martiri”, per la maggior parte vittime del regime ateo sovietico del secolo ventesimo, ma anche 34 monaci uccisi dai luterani nel 1578.
Il rito della canonizzazione ha avuto luogo domenica 20 agosto 2000 nella splendida e ricostruita Cattedrale moscovita di Cristo Salvatore (la Cattedrale era stata fatta demolire da Stalin).
Diverse circostanze spiegano perché la canonizzazione dell’ultimo zar e della sua famiglia, voluta dal Sinodo della Chiesa ortodossa russa facente capo al patriarcato di Mosca, abbia occupato le prime pagine dei giornali d’Occidente. Analoga proclamazione di santità o canonizzazione – per quanto attiene alla famiglia dell’ultimo zar – aveva avuto luogo, infatti, il 1° novembre 1981 a Manhattan (New York), nella Cattedrale della Madre di Dio, per iniziativa del metropolita Filarete al vertice della gerarchia della Chiesa ortodossa russa all’estero che tuttora non è in comunione con il patriarcato di Mosca. In quell’occasione, la Chiesa ortodossa russa all’estero aveva canonizzato tutte le vittime dello sterminio di Ekaterinburg, compresi i servi al seguito della famiglia reale, anche se qualcuno ha messo in dubbio che questi ultimi fossero di religione cristiana.
Il rito di canonizzazione compiuto a New York nel 1981 per la verità ebbe scarsa risonanza.
Da allora, tuttavia, e particolarmente dopo la caduta del regime comunista, anche nella Chiesa ortodossa russa si è posto in maniera crescente il problema della canonizzazione della famiglia dell’ultimo zar. Il dibattito è durato circa otto anni e non ha mancato di avere i suoi riflessi sui rapporti interni alla gerarchia della Chiesa ortodossa russa.
Nel 1993, a settantacinque anni dalla tragedia di Ekaterinburg, il Sinodo della Chiesa ortodossa russa aveva invitato l’intera comunità dei fedeli a chiedere perdono a Dio «per il peccato di regicidio commesso», precisando che si trattava di un dovere da parte di tutti i cittadini russi «indipendentemente dalle loro opinioni politiche, dal loro giudizio storico, dalla loro appartenenza etnica o religiosa, dalla loro posizione nei confronti della monarchia e della personalità dell’ultimo imperatore della Russia».
Nel 1997, il Sinodo aveva direttamente affrontato il problema della canonizzazione dello zar e della sua famiglia, ma la maggioranza dei membri si era pronunciata a sfavore, mentre tra i fedeli si moltiplicavano le icone dello zar Nicola II, si avevano forme di devozione verso di lui e i suoi familiari e non mancavano neppure voci su grazie e prodigi attribuiti alla loro intercessione.
Nel giugno 1998, in vista dell’ottantesimo anniversario dell’assassinio dell’imperatore Nicola II e della sua famiglia, una solenne dichiarazione sottoscritta dal patriarca Alessio II, da 6 metropoliti, da 2 arcivescovi e 4 vescovi, rinnovava l’invito al pentimento formulato cinque anni prima.
Il 18 luglio 1998 – ottantesimo anniversario dello sterminio della famiglia reale –, per volontà del presidente della Russia Boris Eltsin, i resti mortali dello zar Nicola II e dei suoi familiari erano stati portati da Ekaterinburg nella cripta imperiale di San Pietroburgo con l’intento espressamente dichiarato di «espiare la colpa dell’uccisione di quegli innocenti». In quella circostanza, tuttavia, la Chiesa ortodossa russa tenne, per così dire, le distanze, sia non pronunciandosi sull’autenticità delle spoglie mortali dei reali (autenticità scientificamente dimostrata) sia per evitare di venire politicamente strumentalizzata.
L’iniziativa del presidente della Russia, tuttavia, ebbe un largo seguito tra i fedeli ortodossi. Si giunse, così, alla decisione del 14 agosto 2000.
La motivazione addotta dal decreto del Sinodo della Chiesa ortodossa russa a favore della canonizzazione recita: «Nell’ultimo monarca ortodosso russo e nei membri della sua famiglia noi vediamo delle persone che hanno cercato sinceramente di incarnare nella propria vita i comandamenti del Vangelo. Nelle sofferenze sopportate dalla famiglia reale con spirito di mansuetudine, pazienza e umiltà fino alla morte per martirio a Ekaterinburg… risplendette la luce della fede vittoriosa nel Cristo». Per evitare ogni connotazione politica, il Sinodo o Consiglio dei vescovi decideva di canonizzare la famiglia imperiale nella categoria di «coloro che soffrono la passione» (strastoterperzy). Si tratta, in realtà, di una categoria inferiore a quella dei veri e propri “martiri per la fede” (muceniki).
Si può anche ricordare – perché nota – una certa esitazione manifestata fino all’ultimo dal patriarca Alessio II sull’opportunità o meno di procedere a questa canonizzazione, anche se è incontestabile che essa si richiama esclusivamente al comportamento tenuto dall’imperatore Nicola II e dai membri della sua famiglia nei lunghi mesi di prigionia e nella morte. Si temeva, soprattutto, che la canonizzazione potesse divenire motivo di divisione all’interno delle Chiese ortodosse.
Non è neppure mancato, peraltro, chi ha osservato che, al momento della morte, Nicola II non era più lo zar. Com’è noto, infatti, nel marzo 1917, lo zar Nicola II aveva rinunciato al trono «per sé e per suo figlio» passando l’autorità al governo provvisorio formato per iniziativa della Duma o Parlamento. Lasciata Mosca, la famiglia imperiale si era ritirata a Tobolsk, ospite nel palazzo del governatore della città. Il 22 aprile 1918, per volere dei bolscevichi, lo zar Nicola II e l’imperatrice furono trasferiti a Ekaterinburg e rinchiusi nella casa di un commerciante del luogo. Il 23 maggio i reali furono raggiunti dal resto della famiglia. Trascorsero mesi durissimi e umilianti fino alla notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 quando, fatti scendere nello scantinato della casa con il pretesto di ripararli dai combattimenti che infuriavano nella città, i reali e tre servi del loro seguito furono crivellati a colpi di pistola.
Le polemiche e le controverse interpretazioni suscitate dalla canonizzazione dell’ultimo zar e della sua famiglia hanno spesso trascurato di tener conto dell’indole propria e specifica dell’evento, peraltro sottolineata dalla contestuale canonizzazione degli oltre mille martiri (e si tratta indubbiamente di una cifra persino simbolicamente ridotta per difetto).
La canonizzazione operata dalla Chiesa ortodossa russa fa riferimento esclusivo ai mesi di prigionia ed alla morte non del solo ultimo zar, ma dell’intera sua famiglia; prescinde espressamente da qualsivoglia richiamo e tanto meno da qualsivoglia chiamata in causa della sua azione politica. Come ha precisato il metropolita Juvenalij, presidente della Commissione per la canonizzazione, non si è inteso assolutamente “canonizzare la monarchia”.
Il dovere di contestualizzare gli eventi non comporta la loro riduzione al nostro tempo, bensì la loro collocazione nel contesto al quale si riferiscono.
L’iniziativa della Chiesa ortodossa russa è di natura esclusivamente religiosa e come tale deve essere considerata.
Altro motivo di non scarsa confusione nella valutazione di questo evento è l’esplicita o implicita identificazione tra la canonizzazione come viene intesa – sia in se stessa sia dal punto di vista procedurale – nella Chiesa cattolica e come viene praticata nella Chiesa ortodossa.
Nella Chiesa cattolica, dalla riforma introdotta da Benedetto XIV (1740-1758) ad oggi, pur con graduali aggiornamenti, si procede alla canonizzazione di quei fedeli che «in ogni epoca, seguendo più da vicino l’esempio di Cristo, con l’effusione del sangue o l’esercizio eroico delle virtù offrono fulgida testimonianza del Regno dei cieli» (Giovanni Paolo II, cost. apost. Divinus perfectionis Magister 1, 25 gennaio 1983). Le prove riguardanti l’esercizio eroico delle virtù o il martirio devono attenersi alle regole della critica da osservarsi nell’agiografia. Inoltre, oggi, nella Chiesa cattolica, per procedere alla beatificazione si richiede un miracolo regolarmente approvato e, per la canonizzazione, un secondo miracolo avvenuto dopo la beatificazione e regolarmente approvato. Per la beatificazione e la canonizzazione dei martiri non si richiedono miracoli, purché il martirio sia avvenuto «in odio alla fede o alla virtù richiesta dalla fede» e il beatificando o canonizzando abbia accettato, almeno virtualmente, la morte inflittagli per il suddetto motivo.
Nella Chiesa ortodossa, e segnatamente in quella russa, i miracoli non sono richiesti per la canonizzazione, anche se – particolarmente presso gli ortodossi della Chiesa ortodossa russa all’estero –, si parla di miracoli attribuiti allo zar Nicola II.
Una sua rilevanza, invece, ha la devozione dei fedeli che, soprattutto nella Chiesa ortodossa russa all’estero, è da tempo praticata nei confronti di Nicola II e dei membri della famiglia reale trucidati a Ekaterinburg.
In altri termini, osservato dal punto di vista esclusivamente religioso, l’evento della canonizzazione della famiglia reale dell’ultimo zar, ha come sfondo l’esemplarità della condotta cristiana di questa famiglia nei mesi della prigionia destinata a concludersi con la loro morte violenta.
Chiamare in causa le vicende anteriori del regno di Nicola II – del quale, peraltro, tutti gli storici riconoscono lo straordinario ed esemplare attaccamento alla famiglia e la profonda pietà religiosa negli ultimi mesi di vita – è mettersi volutamente fuori dall’ottica doverosa che l’evento richiede. Che poi l’iniziativa del Sinodo presieduto dal Patriarca di Mosca sia, in qualche modo, legata a quella anteriormente presa dalla Chiesa ortodossa russa all’estero, o che possa nascondere, in chi la strumentalizza, rigurgiti monarchici o ulteriori tentativi di chiusura nei confronti di influenze occidentali e soprattutto ecumeniche, è altro discorso.
Le ventilate motivazioni contro l’opportunità dell’iniziativa della Chiesa ortodossa devono considerarsi del tutto soggettive e quindi opinabili, sia perché dipendono dall’angolo visuale assunto sia perché il tempo potrebbe confermarle del tutto infondate.
A me sembra che la motivazione alla base della canonizzazione della famiglia dell’ultimo zar suggerisca di stare manzonianamente “ai fatti”, senza dimenticare l’invito biblico: «Prima della morte non chiamare felice nessuno, poiché nella sua fine si riconosce l’uomo» (Siracide 11, 28).

Card. Fiorenzo Angelini

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