LA STORIA DI S. DEMETRIO DI TESSALONICA: IL NUOVO LIBRO DEL PROF. PASSARELLI (1)

Si intitola “San Demetrio il megalomartire” ed è, pubblicata dalla casa editrice bergamasca Velar, l’ultima fatica letteraria del prof. Gaetano Passarelli, insigne studioso di arte bizantina e dell’Oriente cristiano, direttore scientifico della rivista Studi sull’Oriente Cristiano oltre che del Museo delle icone e della tradizione bizantina di Frascineto (Cosenza), autore di innumerevoli pubblicazioni e anche componente del Comitato scientifico del nostro progetto culturale. Per gentile concessione dell’Autore e dell’Editore pubblichiamo, insieme alla sintesi editoriale del volume, in parti successive l’introduzione al libro incentrato su una delle figure di Santi più amate e venerate, ma anche circondata da un’aura di mistero, della Cristianità.

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San Demetrio

il megalomartire – di Gaetano Passarelli

Demetrio, secondo la tradizione più accreditata, è originario di Tessalonica (odierna Salonicco – Grecia): appartiene ad un’importante famiglia senatoria della città e riveste un alto grado militare. Ha cominciato la carriera come scrivano nell’esercito per poi essere proconsole dell’Ellade ed infine console. Convinto cristiano, non si lascia abbagliare dagli onori ma si impegna costantemente nell’evangelizzazione dei pagani con la parola e l’esempio. Gli editti contro i cristiani di Diocleziano e Galerio (303-304) non lo intimoriscono ed egli continua coraggiosamente a predicare la dottrina cristiana. Per la sua fede viene, però, arrestato, imprigionato e, infine, condannato a morte: Demetrio dà suprema testimonianza di amore e fedeltà a Gesù Cristo con il suo sangue, il 26 ottobre di un anno tra il 304 e il 308. Nel Medioevo, le ossa del martire Demetrio giunsero in Italia, nell’abbazia benedettina di San Lorenzo in Campo (PU), dove furono custodite fino al 1978, quando l’insigne reliquia della testa fu restituita alla Basilica di Salonicco; nella primavera del 1980, altre ossa furono restituite, tranne i femori, che possono essere ancora onorati nella cripta della chiesa abbaziale a San Lorenzo in Campo.

INTRODUZIONE

La diffusione del cristianesimo nei primi secoli va ascritta anche ai militari, che spostandosi con le guarnigioni, portarono la buona novella nelle varie parti dell’Impero romano. Spesso non erano solo veicolo di trasmissione ma perlopiù testimoni della fede soprattutto quando scoppiarono le varie persecuzioni. Così, nella Chiesa occidentale come in quelle di tradizione bizantina e orientale, è entrata a pieno titolo la loro venerazione.

Ebbero grande risonanza le testimonianze di gruppi consistenti, quali ad esempio i Quaranta martiri di Sebaste in Armenia, appartenenti alla XII legione, che durante la persecuzione di Licinio nel 320, rimasero fedeli alla loro fede e furono condannati a morire per assideramento. Il loro sacrificio fu oggetto di predicazione per omileti quali Basilio il Grande, vescovo di Cesarea, Gregorio di Nissa, Efrem il Siro, Gregorio di Tours. Per dare un’idea della loro venerazione bastino le parole di Gregorio di Nissa: «Ho deposto i corpi dei miei parenti vicino alle loro reliquie perché quando vi sarà la Resurrezione essi si possano svegliare con questi ausiliari certi di una protezione». La legione tebana (seimila e seicento uomini) al comando di san Maurizio fu sterminata per decimazione da Massimiano Erculeo nel Canton Vallese vicino Ginevra. Secondo il racconto di Eucherio, vescovo di Lione (c. 434-450) i legionari, cristiani dell’Egitto, si rifiutarono di giustiziare i cristiani della Gallia orientale.

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Altrettanto può dirsi di gruppi numericamente meno consistenti, come quello dei santi Probo, Taraco, Andronico, martirizzati in Cilicia, alla cui memoria Aussenzio, vescovo di Mopsuestia, nel V secolo edificò una basilica; o dei santi Gioventino e Massimino, che resero la loro testimonianza ad Antiochia di Siria, la cui memoria venne celebrata in un panegirico di Giovanni Crisostomo (349-407). O dei santi Sergio e Bacco, ufficiali della guardia imperiale molto venerati in abbinamento, ma anche il solo Sergio, cui fu dedicato un santuario dal vescovo Alessandro di Ierapoli († 433) in Frigia. In Siria gli venne edificato nel V secolo un altro importantissimo luogo di culto, divenuto meta di pellegrini e nomadi, attorno al quale si formò un villaggio a cui Giustiniano (482-565) diede il nome di Sergiopoli, l’attuale Rusafa, una delle principali città mediorientale, prossima all’Eufrate, dove confluivano le vie carovaniere. Sono stati, inoltre, consegnati alla memoria, accanto ai celeberrimi Giorgio e Demetrio, i nomi di singoli soldati, quali ad esempio Teodoro, Mena, Areta, Artemio, Callistrate, Mercurio, Eustazio, Nestore, Procopio e molti altri.

Created by Readiris, Copyright IRIS 2009
Created by Readiris, Copyright IRIS 2009

Costoro, nelle immagini più antiche, sono spesso rappresentati con la clamide, il mantello militare fermato da una spilla sulla spalla destra, di moda a corte. Veniva indossato, infatti, dall’imperatore e dagli alti ufficiali ‒ si veda l’immagine di Giustiniano e del suo seguito in San Vitale a Ravenna ‒. Tale abbigliamento, con l’aggiunta della croce nella mano destra, fu usato al punto che potrebbe essere definito “l’uniforme dei martiri”. In seguito, invece, prevalse la figurazione in abiti squisitamente militari. Nell’ambito dell’iconografia bizantina questi santi militari sono per lo più ritratti in piedi, mentre quattro di loro, Teodoro, Martino, Giorgio e Demetrio, anche in sella ai loro destrieri ‒ nero per Teodoro, bianco per Giorgio, rosso per Demetrio ‒ soprattutto nella rappresentazione dell’episodio più celebre dei loro “miracoli”, quali la vittoria sul drago per Teodoro e Giorgio, su Lieo per Demetrio, il dono del mantello al povero per Martino. I Copti e gli Etiopi, invece, mostrarono una predilezione per le figure equestri cosicché rappresentarono a cavallo non solo i grandi santi guerrieri ma anche confessori e santi in genere. Naturalmente alcuni ebbero notorietà e venerazione in ambito locale, altri, a causa di congiunture storiche e geopolitiche particolari, divennero noti sia in Oriente sia in Occidente, come è stato il caso di Giorgio, a cui fa seguito solo Demetrio. Tale è la fama di quest’ultimo quanto problematiche sono le poche fonti “storiche” su di lui; cosa per cui perdura il lavoro di indagine riguardo la sua identificazione e, in alcuni casi, perfino la sua esistenza.

(1-continua)