L’ICONA, “LUOGO DELLA PRESENZA DI DIO E CANALE PRIVILEGIATO DELLA GRAZIA” (2)
|Il sito Internet simmetria.org, espressione dell’omonima associazione fondata da Claudio Lanzi nel 1975 come gruppo di ricerca sulle scienze e sulle tradizioni spirituali d’Oriente e d’Occidente, svincolato da qualsiasi sudditanza culturale e politica, col quale hanno collaborato accademici e docenti di fama internazionale, ha pubblicato nel 2006 uno studio molto interessante e documentato dedicato all’arte delle icone. Ancorché nel solco di altri contributi presenti nel nostro spazio web, l’approfondimento si segnala per la ricchezza degli spunti e dei riferimenti documentali. Lo proponiamo, in puntate successive, all’attenzione dei nostri lettori.
L’iconografo artista liturgico
Se l’icona custodisce un carattere rivelativo e teologico, si può ben comprendere come la figura dell’iconografo non possa essere assimilata a quella del pittore occidentale. Il carattere liturgico-sacrale del manufatto richiama un concetto di bellezza molto particolare, quello della «bellezza-somiglianza divina»[16]. Non si tratta di raffigurare la rigogliosità e l’armonia della natura, considerata quale opera di Dio, dal momento che il Creato è stato disgregato dal peccato dell’uomo, com’è ricordato dal libro della Genesi [17]. A causa della caduta dell’essere umano non è più possibile «riflettere fedelmente la bellezza divina, in quanto l’immagine divina (l’uomo) iscritta al centro di questo universo si è offuscata»[18]. Ciò che l’artista deve perseguire è l’esatta rappresentazione della deificazione dell’uomo e del mondo, tenendo sempre ben presente che Dio stesso si è fatto uomo, secondo le parole dell’evangelista Giovanni:
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto
ciò che esiste.[19]
L’icona non è la portavoce dell’equilibrata armonia del mondo, bensì richiama una forza capace di trascenderlo e di trasformarlo radicalmente. Quella forza che Dostoevskij ha definito come la bellezza «che salverà il mondo»[20]. Il Deus absconditus dell’Antico Testamento si rivela nel volto del Verbo, nella presenza del Cristo. Il mistero dell’Incarnazione consente all’iconografo di richiamare l’Altissimo nella raffigurazione del Messia, non dimenticando mai che il cristiano deve andare oltre l’«uomo Gesù»[21], per riconoscere in Lui il Salvatore del mondo. L’artista non può limitarsi a ricordare singoli episodi evangelici o a ritrarre il Messia nella sua ordinaria esistenza. È indispensabile che l’icona illumini sia la mente di chi la esegue sia lo sguardo di chi la contempla sulla gloria del Signore e sull’infinito amore di Dio.
In questa prospettiva l’esperienza taborica, narrata nei vangeli[22], assume un rilievo fondamentale. Pietro, Giacomo e Giovanni, i discepoli che hanno potuto vedere Gesù trasfigurato sul monte Tabor, sono anche i testimoni della Sua agonia nel Getsemani [23]. Essi partecipano dei momenti fondamentali della vita del Maestro e diventano i custodi prescelti di questa rivelazione:
E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».[24] La visione taborica del volto di Dio diventa il modello principale, il prototipo dell’icona e ne sancisce il carattere rivelativo e santificante:
Come Cristo sul monte Tabor mostrò ai discepoli la verità del secolo a venire e li fece partecipare al mistero della Sua Trasfigurazione, così l’arte liturgica, mettendosi di fronte questa stessa verità […], santifica tutto il nostro essere.[25]
L’iconografo non dimostra il suo genio creativo o la sua abilità pittorica, bensì si pone al servizio dell’intera comunità cristiana. Le mani ed il talento dell’artista, guidati dalla consapevolezza di aver ricevuto un preciso compito, si devono rivolgere alla missione di redimere il mondo. L’autore di icone ha ricevuto un dono da Dio, ossia quello di portare la luce e la Parola di Cristo con la propria opera tra gli uomini. Non si tratta di un mestiere o di una piacevole attività da svolgere di quando in quando, ma di una vera e propria vocazione. Per questo è necessario che egli obbedisca a canoni ben definiti, sanciti dalla Chiesa quale depositaria e custode attenta dell’eredità apostolica e segua un preciso stile di vita, consono alla missione ricevuta: Il pittore di icone si rivolga al padre spirituale di frequente, informandolo di tutto, e viva secondo le prescrizioni e gli insegnamenti di lui, in digiuno, penitenza ed astinenza, con mente umile e senza nessuno scandalo né mancanza di decoro e con somma cura dipinga l’immagine di Nostro Signore Gesù e della Sua Madre purissima e dei santi profeti, apostoli e martiri e delle donne venerabili, delle guide della Chiesa e dei beati Padri, secondo l’immagine e somiglianza e secondo sostanza. [26]
Allo studio artistico devono unirsi la penitenza e l’ascesi spirituale. L’iconografo deve osservare un rigoroso digiuno e dedicarsi esclusivamente alla preghiera e alla meditazione per un mese. Solo dopo aver effettuato questa preparazione, atta a purificare il corpo e l’anima, egli può accostarsi alla tavola di legno da dipingere. Anche l’esecuzione dell’opera ed il soggetto di questa devono seguire un ordine preciso ed immutabile. Il primo tocco di pennello viene dato in ginocchio, all’alba del trentunesimo giorno, quando appare il primo raggio di sole, e la prima icona a dover essere realizzata è quella della Trasfigurazione, «cioè la manifestazione della presenza di Dio in tutte le cose»[27].
L’ascesi, la mortificazione del proprio orgoglio e la rinuncia alle vanità del mondo sono requisiti fondamentali per chi vuole dedicarsi all’arte iconografica, diventando così autentico e degno testimone della Parola del Signore:
Il pittore di icone deve essere pieno di umiltà, di dolcezza, di pietà, fuggire i propositi futili, le sciocchezze. Il suo carattere sarà pacifico, ignorerà l’invidia. Non dovrà essere ubriaco, non sarà predatore, non ruberà e soprattutto dovrà osservare con scrupolosa cura la povertà spirituale e corporale. [28]
L’iconografo ricerca la luce della Verità e, nello stesso tempo, si fa portavoce di questa nella più completa umiltà, rammentando le parole che Gesù ha rivolto ai discepoli: I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola?Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. [29]
(2-continua)
[16]P. G. Bernardi, op. cit., p. 176.
[17]Cfr. Genesi 3, 23-24: «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita».
[18]L. A. Uspenskij, in P. G. Bernardi, op. cit., p. 176.
[19]Vangelo secondo Giovanni 1, 1-3.
[20]F. M. Dostoevskij, in P. G. Bernardi, op. cit., p. 176.
[21]L. A. Uspenskij, Ibidem, p. 32.
[22]Cfr. Vangelo secondo Matteo 17, 1-9.
[23]Cfr. Vangelo secondo Marco 14, 33: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia».
[24]Vangelo secondo Matteo 17, 9.
[25]L. A. Uspenskij, in P. G. Bernardi, op. cit., p. 34.
[26]Concilio dei Cento Capitoli, in AA. VV., Presenza dell’invisibile. Bellezza e preghiera nelle icone russe, cit., p. 17.
[27]Ibidem, p. 16.
[28]Concilio di Mosca (1666-1667), Ibidem.
[29]Vangelo secondo Luca 22, 25-27.