L’ICONA DELLA NATIVITÀ DI GESÙ CRISTO: UNA MEDITAZIONE STORICO-TEOLOGICA

In concomitanza con l’inizio, per la Chiesa cattolica, del tempo di Avvento in attesa della solennità della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo del 2018, presentiamo, nella traduzione dell’archimandrita Antonio Scordino, il testo di una “lecito” dedicata all’icona della festa e proposta dal protopresbitero Costantino Stratigopulos. Il documento è stato redatto a cura della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta.

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Vi ricordo brevemente qualche cenno sui principi generali. Ho parlato del buio, come non c’è nell’icona, tranne che in questo punto, dove è “tenebra e ombra di morte”, come spiega il profeta Isaia, cioè il mondo in cui Cristo è nato. Ricordo i due animali, che rappresentano i cristiani venuti dal Paganesimo e quelli dal Giudaismo, come biblicamente descritto da Michea e dal profeta Isaia. Cristo è sempre rappresentato tra due animali, che rappresentano tutti gli uomini. Irrazionali erano ancora i Giudei che, sia pur conoscendo una parte della verità, si comportavano in modo irrazionale, ma anche i cristiani venuti dal Paganesimo si comportavano in modo irrazionale. Eppure Cristo – qui, in mezzo – si fece conoscere tra due animali.

Cristo è avvolto in alcune bende mortuarie.  Si dichiara qui che Cristo è nato per morire per noi. Non si tratta solo dell’esultanza per la Nascita di Cristo. Il Natale di Cristo prepara la Pasqua. Per questo Cristo giace, dorme in una tomba. Non dorme su un giaciglio qualsiasi: è un elemento che ci unisce alla Pasqua. Qui c’è la Vergine, la Tuttasanta. La Vergine ha sempre – in tutte le rappresentazioni iconografiche – tre stelline sulla fronte e le spalle. Stelle a otto punte. Le tre stelle indicano che la Tuttasanta è Vergine prima, nel e dopo il parto. E’ davvero Vergine. Le otto punte indicano il mistero dell’Ottavo giorno. Dio ha plasmato l’uomo al sesto giorno. Al settimo giorno l’uomo è caduto. E Dio – con l’opera della divina Economia e della condiscendenza di Cristo – inaugura l’opera dell’Ottavo giorno della Creazione, che precisamente è l’opera della divina Economia. La Tuttasanta partecipa all’opera della divina Economia, è diaconessa di questo sacramento, e proprio perciò reca quelle stelle.

 Vi ricordo che l’iconografia descrive una teologia. Vedete, abbiamo come fonte di studio la Sacra Scrittura; abbiamo gli inni ecclesiastici, che sono teologia resa poeticamente; abbiamo le come, che sono rappresentazione pittorica della teologia. Tutto quel che qui facciamo è teologia. Per questo, spesso sulle icone scriviamo anche tropari. Il tropario del Natale dice che “la Vergine è assisa come gli angeli”. Ecco infatti nell’icona che la Tuttasanta è assisa proprio come gli angeli. Vedete che tiene le mani al modo dei Cherubini, in atteggiamento di preghiera; è assisa. Questa postura, in teologia indica sempre la stabilità. C’è un passo dell’Antico Testamento, dove il profeta Osea – credo – si riferisce a Dio dicendo: “Tu sei assiso e noi abbandonati. Tu sei assiso in eterno”. Notate la sottigliezza? Assiso, non in piedi o abbandonato. Lo stare assisi significa saldezza. Dio è assiso. Non rappresentiamo perciò i santi seduti. E’ una interpretazione errata, romantica, il santo seduto in trono. E’ assiso in trono soltanto Cristo o la Tuttasanta, ovvero le figure più alte. Lo stare assisi significa assoluta stabilità. Guardate: la Tuttasanta – dopo aver accolto il fatto della divina Economia celebrato in lei – diventa la nostra Tuttasanta.  Diventa definitivamente incorruttibile dal peccato. Per questo la Tuttasanta è assisa.

Ora vedremo i particolari che attorno la circondano. Abbiamo gli angeli che glorificano. Tutti gli angeli hanno obbligatoriamente in testa un nastro. Hanno sempre una chioma abbondante e sempre un nastro: è un elemento dogmatico, non è un particolare secondario. Che significa questo nastro? Le Potenze celesti, così come gli esseri razionali della terra – gli uomini – sono esseri razionali – esistenti. L’uomo è un animale che può diventare Dio. Gli angeli rivolgono la loro mente a Dio e vivono di questo nutrimento. Anche la terapeutica della Chiesa ortodossa è rivolta a un uomo malato, che essendo lacerato rivolge la sua mente a Dio. Questa è la terapia: terapia è volgersi a Dio. Gli angeli dunque possiedono questo in modo perfetto, questo volgersi a Dio. Specialmente da quando i demoni sono caduti ma non sono caduti gli angeli. Il giorno che festeggiamo l’8 novembre è la situazione degli angeli, e diciamo nella divina Liturgia “Stiamo con devozione, stiamo con timore!”, mentre gli angeli non sono caduti come Lucifero. Dopo questa situazione, san Giovanni Damasceno, in un importantissimo testo dogmatico (dogmatica molto importante, semplice ed essenziale, che si chiama “Esatta dichiarazione della fede ortodossa”), dice (e in questo consiste la tradizione dogmatica dei Padri) che dopo quel fatto gli angeli sono incorruttibili dal peccato. Non possono più cadere perché “restarono saldi”. Cosa che poteva accadere all’uomo, se si fosse opposto alla tentazione del diavolo. Perciò questo nastro indica il raccolto. Poiché la mente (nel significato interiore o astratto della parola “mente”, non semplicemente di “cervello”) non posso dipingerla, nell’iconografia cerco una dimensione esterna, simbolica, per esprimere quel che non si vede. Noi, per esempio, vogliamo dipingere la preghiera. Se dici a un pittore: “Dipingi la preghiera”, questi lo fa in modo del tutto naturalistico: un uomo che prega tra gli alberi. Un altro lo fa in modo astratto: una pennellata rossa su una tela bianca. Non so come lo fa. Noi però non ci muoviamo nel naturalismo o nell’astratto. Rappresentiamo grandi realtà attraverso simboli. E poiché gli angeli raccolgono la loro mente in Dio, poniamo sulla loro abbondante capigliatura (che è l’abbondanza dei carismi posseduti) questo nastro. Questo è un particolare dogmatico. Non c’è angelo senza nastro. Lo vedremo anche in altre icone. Ancora, abbiamo i tre Magi. La parola “Mago” (magia) non collegatela alle pratiche demoniache della magia, cioè all’interrogare i demoni sul bene e sul male, ovvero all’errata – mondana – distinzione tra magia bianca e nera. “Magi” significa “uomini sapienti”. Così un tempo si chiamavano i sapienti. Erano scienziati, e portarono tre doni (lo sapete), oro, incenso e mirra. Questi doni sono particolari dogmatici. Portano oro a Cristo perché egli è re; al re spettava l’oro. Incenso, perché è Dio. E mirra: questo profumo è un unguento, una sostanza con la quale venivano unti i morti; secondo gli usi ebraici ma anche in tradizioni estranee al mondo ebraico c’è la profumazione, la lavanda, l’unzione dei morti, per motivi igienici, come facciamo anche noi. Prima di seppellirli, laviamo i nostri morti. Cristo fu cosparso di mirra e aloe. Egli dunque è Dio, è re, ed è lo stesso che muore per noi. Vedete come mirra, oro e incenso sono concreti elementi dogmatici.

Ancora, abbiamo Giuseppe, lo Sposo promesso. Giuseppe, lo Sposo promesso, affrontò la tentazione per decidere se accettare o no la Tuttasanta. Giuseppe è dipinto nell’angolo inferiore dell’icona. I ministri di questo mistero sono alle estremità dell’icona. La figura centrale è sempre Cristo, anche in una icona così ricca di particolari, non come in una icona d’un solo personaggio dove un santo è la figura centrale. Giuseppe, così come la Tuttasanta, sono liturghi del mistero. Sono liturghi del mistero, ministri del mistero (ministro anticamente voleva dire aiutante, servitore). Ecco, vedete che la Tuttasanta non è esattamente al centro. Un po’ a fianco e un po’ più in basso c’è Giuseppe. Sono ministri del mistero. Servitori del mistero. Solitamente i ministri del mistero vengono festeggiati il giorno dopo la festa principale. La Tuttasanta è festeggiata al 26 dicembre. Attenti: il giorno dopo il Natale, si festeggia la Sinassi della Tuttasanta. E’ la festa della Tuttasanta, e perché non coincida o non cada la festa di Giuseppe, lo Sposo promesso, viene trasferita alla domenica immediatamente successiva, in cui celebriamo Giuseppe, lo Sposo promesso, con altri due santi[1]. Così festeggiamo i ministri del mistero. Vedete, Giovanni è stato decapitato il 29 agosto, giorno del suo martirio, ma lo festeggiamo soprattutto il 7 gennaio, perché servì – cioè celebrò – al mistero del Battesimo. Sono riflessioni teologiche, molto essenziali. In greco ministro è ipurgòs, ipò to ergon: al servizio dell’opera. Giuseppe è al servizio del mistero. Badate: nell’iconografia ortodossa non si rappresenta mai quella che – secondo il parere occidentale – viene chiamata “Santa Famiglia”. Non abbiamo una tale santa famiglia. Abbiamo la Tuttasanta e Semprevergine. Lei ha conservato sempre la sua verginità e Giuseppe è al servizio del mistero. Non rappresentiamo mai la “Santa Famiglia” (Cristo, la Tuttasanta e Giuseppe), tranne che in un caso: la Fuga in Egitto. Lì si vede la Tuttasanta con Cristo su d’un asinello, mentre Giuseppe guida l’asinello per la strada, ponendosi al servizio, come assistente, come aiutante. E’ una raffigurazione della Fuga in Egitto basata, come ogni icona, su presupposti teologici.

C’è poi la “Lavanda del divino infante”, una rappresentazione molto dubbia, che è sorta dopo il 17° secolo per l’influsso delle concezioni latine sul mondo ortodosso, penetrate in Russia e giunte persino al Santo Monte: in quasi tutte le chiese del Santo Monte ora è stata imbiancata. La rappresentazione della Lavanda è stata nascosta perché si ritenne che la rappresentazione della “Lavanda del divino infante” fosse inaccettabile. Un errore dogmatico: ora quelle immagini sono state ricoperte di calce. Al Santo Monte nessuno interpreta da solo l’Ortodossia. L’Ortodossia possiede la sua verità, che è verità universale, non quel che si dice in un posto soltanto. Nell’Ortodossia non c’è alcun posto che possa essere considerato un Vaticano! All’Athos hanno considerato inaccettabile che Cristo fosse dipinto nudo, mentre viene lavato. Ma perché l’iconografo lo aveva fatto in quel modo? L’iconografo l’aveva fatto per far vedere quel che si fa per ogni bambino. Quando nasce, veniva lavato sommariamente. L’ottavo giorno – ricordate? – si faceva il bagnetto, il bagnetto completo. Cristo è uomo perfetto e ha affrontato tutto ciò che è umano, tranne il peccato. Se Cristo non fu “lavato” perché Dio e quindi non bisognoso di purificazione, vorrebbe dire che non era del tutto un essere umano: se cadiamo in questo errore dogmatico, allora varrebbe a dire che Cristo non ci ha salvati. Perché Cristo salva l’uomo e lo porta a perfezione perché è perfettamente uomo. Se fosse qualcosa di superiore alla nostra natura umana, non gli sarebbe necessario dormire o mangiare – tutto questo, è chiaro, Cristo può farlo – e quindi non sarebbe davvero un uomo. Sarebbe un super-uomo che non salva l’uomo. Gregorio il Teologo parla di “non-assunto” e di “non-sanato”; ciò che non è stato assunto non è stato sanato. Cristo ha assunto tutta la nostra natura umana. Cristo l’ha assunta interamente. Attenti: con soltanto le nostre innocenti “passioni naturali”. Cristo ha avuto “passioni”, ma solo quelle inoppugnabili. Quali sono queste “normali passioni”? La fame è una “passione” (si patisce)[2], ma non è un peccato. La fame e il sonno sono “passioni” naturali. Le passioni colpevoli nascono precisamente dalla corruzione delle “passioni” naturali. La golosità, per esempio, è una corruzione della fame, come spiega san Giovanni Damasceno e altri Padri della Chiesa.

Ovviamente ci sono i pastori, qui presenti in modo molto dettagliato. Ecco la presenza umana, la presenza della dossologia umana nell’ora in cui giunge Cristo. Dal cielo discende la divina Luce, la Luce increata, che illumina questo mistero della Natività. L’altra volta vi ho detto come noi raffiguriamo quel che si è manifestato, quel che abbiamo visto, quel che abbiamo visto noi, non altri. Cristo, noi tutti lo vediamo: se viviamo nella Chiesa. La Chiesa è un corpo: quel che vede uno, lo vedono tutti gli altri. Unica è l’esperienza d’un corpo. Se io infatti voglio sentire se un oggetto metallico è freddo o caldo, vi accosto anche una sola cellula del mio polpastrello: grazie solo a una sua cellula, tutto il mio corpo fa esperienza che è caldo. Non c’è bisogno che tutto il mio corpo tocchi dappertutto quel vaso (che lo tocchino tutti i miliardi di cellule del mio corpo) perché io ne abbia personalmente[3] esperienza e capisca che esso è caldo. E’ una esperienza egoistica, quella per cui diciamo “Io, Cristo non l’ho visto”. Se io vivo nella Chiesa, è una esperienza mia. Noi quindi dipingiamo quel che abbiamo visto. Abbiamo visto Cristo, e lo dipingiamo. Abbiamo visto – come colomba – il Santo Spirito, e lo dipingiamo. Non abbiamo visto mai il Padre, e giammai lo dipingiamo. Questo dato lo sottolineo. Noi siamo “pratici”, realisti e insieme profondamente teologici. Non dipingiamo quel che non abbiamo visto. Abbiamo visto i Cherubini, e li dipingiamo. Abbiamo visto i Serafini, e li dipingiamo. Abbiamo visto angeli e arcangeli , e li dipingiamo. Non abbiamo visto come sono i Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà, le Potenze e le altre schiere celesti, e non li dipingiamo.


[1] Il testo parla di due profeti, ma si tratta del santo re David e di GiacomoFratello di Dio.

[2] In italiano altrimenti non si capisce di che passione si parli. Perciò a volte uso le virgolette.

[3] In italiano egoistico ha valore solo negativo (come in seguito)