“CONVERTITEVI!”: LA MEDITAZIONE DI PADRE EL MESKIN VERSO LA QUARESIMA

A pochi giorni dall’inizio della Quaresima (Chiesa ortodossa copta, 12 febbraio; Chiesa ortodossa, 11 febbraio; Chiesa cattolica, 14 febbraio) il sito Natidallospirito.com ha proposto alcune meditazioni quaresimali di padre Matta el Meskin pubblicate nella recente antologia tradotta dall’arabo “Ritrovare la strada” (ed. Qiqajon della Comunità di Bose). Ecco il brano per gli amici de “I sentieri dell’icona”.

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Giovanni Battista ha spianato, con la conversione, la via per la conoscenza di Cristo e per la sua epifania. Senza conversione dal peccato, senza rimorso [1] per una vita trascurata, senza il ritorno del cuore al timore di Dio è impossibile lo svelamento della conoscenza di Cristo e la sua teofania rimane velata all’anima. “Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele […] E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio” (Gv 1,31.34). Dunque il battesimo di Giovanni con l’acqua per la conversione era una necessità assoluta affinché fosse rivelato Cristo.
Sempre, anche ora, la conversione è l’unica via per giungere alla conoscenza della persona di Cristo. Mediante la compunzione per il peccato e il sentimento micidiale del rimorso, scopriamo la misericordia di Gesù, il valore del suo sangue e la potenza che la sua divinità possiede di far risorgere dalla morte e dagli inferi.
Se non avvertiamo la serietà del peccato che opera in noi e, nel nostro profondo, non percepiamo il mistero del peccato, non riusciremo mai ad apprezzare il valore del sangue divino e non percepiremo mai il mistero della redenzione. Se non esaminiamo la nostra coscienza riprovandola, se non prendiamo distanza dalle brutture della nostra vita interiore condannandole, se così facendo non scopriamo, nei nostri errori, nei nostri impulsi disordinati [2], nei nostri difetti, nelle nostre impurità, la verità di noi stessi, non sentiremo il bisogno di Cristo e non riterremo una necessità assoluta il conoscerlo. La sua divinità resterà per noi un semplice articolo di fede che ci interesserà più o meno da vicino a seconda delle prove razionali a nostra disposizione. Il sangue versato sulla croce, invece, sembrerà non essenziale o come un elemento necessario soltanto alla narrazione della Passione.
E invece, che gloria ha in serbo il Signore per il cuore che si converte! Che potenza il sangue per la coscienza che geme per il peso del peccato!
Quando l’anima giunge alla propria verità dopo aver affrontato con coraggio e resistenza il proprio peccato, senza fuggire o addurre scuse o impietosendosi falsamente, allora non avrà altra via d’uscita se non cadere ai piedi della croce. Non riterrà più Gesù un articolo intellettuale di fede ma una questione di vita o di morte, l’unica vera salvezza dagli inferi. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25), “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,16).
Domanda: di che cosa ha bisogno il peccatore per accogliere la fede in Cristo così da ricevere la vita e la salvezza?
Risposta: Di nulla! Semplicemente non deve resistere alla voce interiore e alla chiamata. “In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti [per il peccato] udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5,25)

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L’inizio del cammino del peccatore con Dio è come un morto nella tomba. Non ha alcun obbligo, perché non ha diritto a nulla! “Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?” (Sal 6,6). Il peccatore ingannato e ucciso dal peccato appare cianotico, fiacco, con uno spirito privo di dinamicità, senza orecchi per udire. Per lui è venuto il Figlio di Dio, la Parola viva del Padre, e ha inviato la sua voce attraverso il Vangelo per seminare nell’anima morta, con la sua parola, un nuovo orecchio che ascolti e comprenda la fede. Quando il peccatore sente la voce del Figlio di Dio vive e risorge dai morti!
Per la legge spirituale, il peccatore è un uomo morto. Ma non esiste creatura così viziata e amata da Dio come questo morto fetido per il peccato. Cristo infatti era noto per essere “amico di pubblicani e peccatori” (Mt 11,19).
Ogni creatura nell’esistenza, sia in cielo che sulla terra, deve muoversi, faticare, applicarsi per vivere. Tranne il peccatore. A lui Dio non chiede di muoversi verso qualcosa o di faticare per qualcosa o di applicarsi su qualcosa altro che accogliere la voce tenera di Dio e non respingere la sua chiamata d’amore. “E quelli che l’avranno ascoltata, vivranno”.
La voce di Dio non è solo una forza vivificatrice ma anche magnetica: essa è capace di attirare l’anima dagli abissi della morte e degli inferi e di farla risorgere dalla tomba delle passioni, slegandola e spingendola. Tutte queste cose l’anima è incapace di farle da sola. Anzi, lei è impossibile anche solo parteciparvi con un po’ di sforzo. A essa è richiesto solo di non respingere tutto questo.
“Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44).
“Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori” (Gv 6,37).

[1] La parola usata araba è nadam. È il rimorso/rimpianto per qualcosa di apparentemente irreparabile. È solo uno degli elementi necessari per Matta el Meskin per una conversione (tawba) sincera.
[2] Traduciamo così la parola araba šahwa (‘passione’, ‘appetito’) che traduce il termine greco neotestamentaro epithymia.
Matta el Meskin
tratto da: Matta el Meskin, Ritrovare la strada: meditazioni per la Quaresima, Qiqajon 2017, pp. 49-52