“LA MIA RUSSIA”: IL LIBRO-TESTAMENTO EREDITÀ DI PADRE ROMANO SCALFI

“Avrebbe compiuto 94 anni il 12 ottobre, padre Romano Scalfi, ritornato alla casa del Padre il Natale scorso. E fino all’ultimo, pur preparandosi al “grande incontro”, come lo chiamava, ha continuato a lavorare per la Russia. O meglio, il suo orizzonte era il mondo, a cui sentiva che la Russia – il grande incontro della sua vita – poteva fare un dono prezioso. L’ha detto più volte: “In verità sono assolutamente convinto che la tradizione orientale e l’esperienza del samizdat hanno tuttora molto da dire e da insegnare a chi intenda aiutare l’uomo ad uscire dalle sabbie mobili del relativismo e a ritrovare se stesso. Cioè a ritrovare la pienezza del fatto cristiano” (da un’intervista del 2013)”. Lo ha scritto il 5 ottobre Giovanna Parravicini, tra i rappresentanti di maggior spicco della Fondazione Russia Cristiana di Seriate (Bergamo) e Milano, sul sito ilsussidiario.net presentando, fra l’altro, il libro “La mia Russia”, a cui lo stesso padre Scalfi lavorò negli ultimi anni facendone in qualche modo il suo testamento spirituale, e che ora ha visto finalmente la luce per i tipi de “La Casa di Matriona” (176 pagine, 12 euro). Giovanna Parravicini poi così prosegue.

La copertina del libro di padre Romano Scalfi
La copertina del libro di padre Romano Scalfi

Negli ultimi anni, davanti al “cambiamento epocale” a cui stiamo assistendo, padre Scalfi esprimeva sempre più sovente la convinzione che nel samizdat (i testi diffusi clandestinamente in epoca sovietica) e nella cultura che esso esprime sia racchiusa una risposta essenziale al grido dell’umanità di oggi. In lui aumentava sempre di più la coscienza dell’importanza di tale testimonianza, in grado di far emergere alcune categorie – il valore della persona, la sua libertà e responsabilità, la comunione, l’ecumenismo inteso come riconoscimento di Cristo presente in tutti – e offrirne un’esperienza vissuta attraverso il portato del dissenso, o meglio della rinascita umana e religiosa sviluppatasi in Unione Sovietica e nei paesi dell’Est Europa nel XX secolo. Questa coscienza si intrecciava in padre Scalfi alla gratitudine per il dono di una compagnia – quella con la Russia – che nel tempo si è sempre più precisata come l’incarnarsi della presenza di Cristo nella sua vita e della vocazione a cui era chiamato. L’amore per la Russia era la felice coincidenza della concretezza di Cristo. Leggendo gli scritti di padre Scalfi e quelli del samizdat cristiano può meravigliare, inizialmente, un certo prevalere del tema “sociale” rispetto a quello “spirituale”, “teologico”. Ma poi ci si rende conto che così veniva tradotto uno dei concetti più cari alla tradizione dell’Oriente cristiano, quello di “trasfigurazione”: l’incontro con Cristo, che rinnova e rivoluziona la vita, non può non avere ripercussioni su tutto. “Noi vogliamo tutto il mondo!”, diceva il dissidente Vladimir Poreš al processo nel 1980. Una dimensione sociale della fede cristiana che andava paradossalmente di pari passo con l’estromissione della Chiesa in quanto istituzione dalla vita pubblica e dai favori del potere, e che si affidava interamente alla responsabilità e al “rischio” della singola persona.

“Per Grossman come per tutti gli autori del samizdat – sottolineava in una sua lezione padre Scalfi – la grandezza dell’uomo è preminente a ogni struttura socio-politica, anche in situazioni tragiche, che sembrerebbero dover togliere ogni libertà all’uomo; proprio osservando i lager, la guerra, giunge alla conclusione: l’uomo è libero, in ogni situazione. Sono sue le parole: ‘La mia fede io l’ho temprata nell’inferno, la mia fede è uscita dal fuoco dei forni crematori’. Qual è questa fede? ‘Ho visto che non è l’uomo a essere impotente nella lotta contro il male, ma è il potente male a essere impotente quando lotta contro l’uomo’. Non ho trovato un’espressione di fede nell’uomo come questa, ma è una fede nell’uomo che è particolarmente nostra, per chi crede in Dio” (…).