I PRETI DI NIKOLAJ LESKOV, SPECCHIO DELLA “GRANDE ANIMA” RUSSA
|In più occasioni, nei diversi contenuti del nostro sito Internet, abbiamo avuto modo di dedicare interessanti approfondimenti al grande scrittore russo Nikolaj Leskov, autore, fra gli altri capolavori, de “L’angelo sigillato”, una storia di icone e Vecchi credenti (per saperne di più è sufficiente utilizzare il motore di ricerca interno). Sul quotidiano “Il Giornale” del 23 ottobre 2016 Daniele Abbiati ha scritto una recensione del libro “I preti di Stargorod” (ripubblicato da Castelvecchi, 18,70 euro). Riproponiamo l’articolo per gli amici de “I sentieri dell’icona”.
Nicolaj Semënovic Leskov era un credente. E non è qui il caso di sottilizzare se «vecchio», cioè simpatizzante degli scismatici allontanatisi, alla metà del Seicento, dalla Chiesa ortodossa a causa della sua grecizzazione, o nuovo, cioè obbediente ai modi e alle forme dettate dai vari patriarchi. Perché lui credeva, oltre che in Dio, nel popolo russo. Ne amava anche e soprattutto i difetti, sapeva vestirli di trame e figure chagalliane, di atmosfere da favola, di personaggi sempre in bilico fra vodka e santità, fra crimini e devozione. Per questo “I preti di Stargorod” è il suo capolavoro: perché racconta di religiosi talmente religiosi da essere laicamente ecumenici, figli della terra e insieme nipoti del cielo.
“I preti di Stargorod” sono l’arciprete Tuberozov, nume tutelare della propria comunità che non le manda a dire al potere politico, soprattutto a quelli di Pietroburgo (e mal gliene incoglie); padre Benefaktov, un don Abbondio circoscritto nell’orizzonte del quieto vivere; e il diacono Desnicyn, per tutti semplicemente Achillà, rude e bambinesco, focoso e sentimentale, terragno ed evangelico, qualche cosa a metà tra il frate Tuck compagno di Robin Hood e il Salvatore del Nome della rosa. Siamo nel 1872, Leskov ha già avuto a sua volta a che fare, dieci anni prima, con quelli di Pietroburgo, cioè con le autorità secondo lui colpevoli di aver messo la sordina alle violenze dei nichilisti, e quella che ci presenta vuole essere una «cronaca». Cronaca, ma non romanzo tradizionale, piuttosto una sequenza di tranche de vie tenuti insieme da Tuberozov e Achillà i quali agiscono rispettivamente da sovrano (illuminato quanto tormentato) e da proletario della spiritualità.
Intorno a loro, calcano le scene di questo teatro dei pupi leskoviano un saggio nano, un genio del male venuto dalla capitale, un maestro sinceramente ma ottusamente democratico e la sua possessiva madre, un sindaco doppiogiochista, un maresciallo della nobiltà sorprendentemente generoso, la meschina moglie del direttore dell’ufficio postale… E poi la folla, maggioranza non silenziosa che preconizza future rivoluzioni. Quando le icone della fede verranno sostituite da quelle dei soviet.