L’ICONA NEL PENSIERO RUSSO DEL XX SECOLO: PER CAPIRE LA “RISCOPERTA” (4)

Dalle pagine web di iconecristiane.it, sito cattolico per lo sviluppo dell’iconografia in Italia, proponiamo all’attenzione degli amici de “I sentieri dell’icona”, in parti successive, lo studio dal titolo «L’icona nel pensiero russo» a cura di Pietro Galignani. Si tratta di una versione aggiornata dell’articolo pubblicato nel gennaio-febbraio 1988 sul n. 55 di “Servitium – Quaderni di spiritualità”, Sotto il Monte (BG), già riportato su www.larici.it.

L’icona nel pensiero russo del XX secolo [1]

a cura di Pietro Galignani – Milano, giugno 2016

La metafisica dell’icona

Lo sguardo spirituale dei mistici è fissato per la prima volta in icone che possono essere chiamate protorivelate e prototipiche come la Vladimirskaja o la Trinità di Rublëv; ci sono poi le copie di queste icone, vero contorno della luce divina attraverso le quali la luce sfolgorante si compone in immagini, che sono più o meno aderenti al modello. Ma il loro contenuto spirituale non è diverso da quello, non è nuovo e non è simile all’originale, ma è l’originale stesso, benché manifestato attraverso un fitto velo e un tramite torbido. E ciò dipende dall’artista se ha saputo rivivere o no ciò che ha rappresentato, se attraverso l’originale gli si è rivelata con sufficiente chiarezza la realtà spirituale rappresentata. Dipende dunque dal livello spirituale dell’artista se egli deve essere considerato uno živopis’ o un ikonnik (un iconografo o un mestierante). Il compito dell’iconografo nella sua interiore ascesa spirituale è quello di capire il senso del canone, di penetrarlo in profondità e di fondere la propria esperienza personale ascetica con la tradizione della Chiesa che proprio si esprime nella presentazione delle immagini canoniche perché essi si rendano conto che non stanno rappresentando qualche cosa di immaginato da loro bensì una realtà effettiva che è patrimonio dell’esperienza ecclesiale, “un’esperienza che garantisce la continuità del filo delle deposizioni testamentali che comincia dal Cristo Prototestimone, fino al nucleo stesso dell’incarnazione ecclesiale”.[20]

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Solo in questa dimensione il pittore ha il diritto di inscrivere sull’icona il nome poiché esso è il nome del prototipo e l’immagine come simbolo si realizza totalmente in esso. A questo il pittore è educato dalla tradizione della Chiesa, la sua ascesi non è una salita solitaria ma avviene nella Chiesa e per la Chiesa attraverso le forme del culto. “Il culto infatti svela sguardi sacri ed educa e dirige l’esecuzione dell’icona”.[21] È tutta la tradizione della Chiesa nelle sue varie espressioni che porta il pittore a cogliere il senso profondo delle immagini, a farle diventare una sua esperienza. Così la Scrittura, i divini misteri, le opere dei santi padri, il canone iconografico diventano il luogo della sua maturazione spirituale e della sua capacità di rendere trasparente nell’icona il prototipo. Infatti a fondamento dell’icona sta sempre una esperienza spirituale che ha una quadruplice radice. Fonte dell’icona è la Scrittura, cioè la parola di Dio rivelante la realtà spirituale, l’esperienza personale del pittore che raffigura ciò che gli è dato vedere non soltanto come fatto esterno ma anche come spirituale illuminazione, la comunicazione orale o scritta di una esperienza spirituale altrui, avvenuta nel passato e infine, per le icone rivelate, una visione od un sogno misterioso. Proprio per tutte le considerazioni fatte: Nei mezzi stessi della pittura d’icona, nella sua tecnica, nelle materie adoperate, nella fattura dell’icona si esprime la metafisica, di cui vive e grazie a cui esiste l’icona. Le stesse materie usate in questo o quel tipo o aspetto dell’arte, sono simboliche e ciascuna di esse ha il suo carattere concretamente metafisico attraverso il quale si accorda a questa o altra esistenza spirituale.[22]
La concezione dell’icona di Pavel Florenskij è una metafisica dell’immagine, potremmo dire una estetica metafisicamente fondata in una filosofia religiosa che ha come proprio fondamento l’intuizione del mondo spirituale come realtà originaria nella quale la Trinità è il fondamento luminoso. Bisogna considerare dunque quest’analisi come sviluppantesi dalla concezione espressa nell’opera maggiore in cui appunto si mostra come la Trinità stessa sia fondamento metafisico. Notiamo in questa impostazione della sua teologia un influsso potente del pensiero di Solov’ev proprio nel tentativo di recuperare in chiave metafisica la tradizione della Chiesa. Ne nasce una interessantissima prospettiva estetica la quale vede nel simbolismo la realizzazione perfetta dell’arte; non è un caso che proprio Solov’ev sia il maggiore ispiratore del simbolismo russo se non addirittura possa esserne considerato il fondatore. Il pensiero di Florenskij si muove tutto nella filosofia religiosa sbocciata in Russia nei primi venti anni del secolo e in questo ambito deve essere compreso e valutato. Tuttavia questa impostazione che offre spunti profondi e originali di meditazione tende a riassorbire la tradizione della Chiesa in una concezione metafisica o meglio ripensare metafisicamente tale tradizione lasciando poco libera la tradizione stessa di esprimere il proprio annuncio.

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Nei confronti con la teologia dell’icona, espressa dal settimo concilio ecumenico, rimane marginale, anche se accennato, il riferimento all’esperienza che la Chiesa storicamente ha del suo rapporto in Cristo con la Trinità; infatti non è sottolineato sufficientemente il rapporto tra gli elementi in cui si esprime la tradizione e la creazione iconografica privilegiando il momento mistico delle visione al di là della dimensione storica. Se è vero che l’icona nasce in una esperienza mistica che arricchisce la tradizione, è anche vero che la realtà dell’icona deve essere compresa all’interno della storia della salvezza o Economia Divina e questo riferimento in Florenskij è molto labile anche se non completamente ignorato. La teologia del settimo concilio sottolinea come l’icona nasca dall’esperienza storica degli apostoli i quali hanno visto le fattezze umane di Cristo e della Madre di Dio; il richiamo a Luca primo iconografo in questo senso è eloquente. Ancora è poco sottolineato l’annuncio dell’icona, anche se è chiaramente detto che l’icona è questo annuncio, non se ne evidenzia il contenuto che è la coscienza che la Chiesa ha della salvezza operata da Cristo.
Il pensiero dei filosofi religiosi russi, e la teologia dell’icona ne è un esempio, procede attraverso intuizioni luminose che spalancano profonde prospettive. Il loro è un contributo dirompente, carismatico, che sconvolge l’ordinata e tradizionale sintesi nella quale la teologia russa esprimeva la propria coscienza ecclesiale. La Chiesa, profondamente compromessa col regime zarista, non è capace di presentarsi come reale alternativa all’intelligencija radicale unendo in una sintesi efficace fede e cultura. Essa però è profondamente sollecitata dai nuovi contributi a ripensare i fondamenti della propria autocoscienza, ma i frutti di tale esplosione culturale non potranno maturare in Russia ma solo negli ambienti dell’emigrazione.

[1] Questo studio è già stato pubblicato in “Servitium – Quaderni di spiritualità”, Sotto il Monte (BG), n. 55, gennaio-febbraio 1988, pp. 36 – 58 col titolo “Pietro Galignani, L’icona nel pensiero russo contemporaneo”. In questa riedizione ricorretta è stato anche aggiunto il capitolo “La Divina Sofia e l’icona”.
[20] Ivi, p. 94
[21] Ivi, p. 105
[22] Ivi, p. 106

(4-continua)