ISAAC, IL PRIMO “FOLLE IN CRISTO” RACCONTATO NELLE “CRONACHE” RUSSE

Nel gruppo Facebook “I padri del deserto” è stata recentemente pubblicata una serie di contributi dedicati ai cosiddetti “folli in Cristo” la cui presenza, nel corso dei secoli, è ampiamente documentata anche nelle terre della Rus’ con puntuale riscontro in numerose testimonianze iconografiche. Un primo testo introduttivo è già stato ripreso dal nostro sito nella sezione “Le storie”. Considerato l’interesse che il tema ha spesso suscitato fra gli amici de “I sentieri dell’icona”, anche attraverso precise richieste via mail, proponiamo qui di seguito un altro documentato articolo curato da sempre da Sacerdote ortodosso per lo stesso gruppo.

Il primo pazzo in Cristo russo si chiamava Isaac. La sua storia ci è narrata dal celebre scrittore di cronache, Nestore, monaco come lui alla fine del secolo XI nel Monastero delle Grotte, a Kiev. Ricco mercante, Isaac si era liberato dei suoi beni terreni e si era messo alla rude scuola dell’eremita Antonio, che aveva preso lezioni d’ascetismo al Monte Athos e viveva in una caverna vicino a Kiev. Come residenza Antonio assegnò al suo discepolo una grotta larga quattro cubiti e come cibo gli passava ogni due giorni, attraverso una stretta apertura, una pagnotta e un po’ d’acqua. Isaac era vestito di una pelle di capro, da poco scuoiato, che aveva incollato al suo cilicio e lasciato seccare sulla nuda pelle. Tutte le sere e a notte tarda cantava dei salmi e faceva prostrazioni finché, vinto dalla fatica, si permetteva di sedersi per dormire, poiché non si coricava mai. Questo genere di vita durò sette anni.
Una notte, mentre si riposava in questo modo e spentasi ormai la candela, una luce brillante illuminò la grotta e due giovani entrarono, con volti risplendenti come soli. «Isaac» dissero «noi siamo angeli e veniamo ad annunciarti la visita di Cristo. Eccolo che viene». Senza riflettere un secondo, senza neppure fare il segno della croce, il disgraziato si prosternò davanti all’apparizione. Un clamore infernale salutò il suo gesto. Isaac si vide circondato da una sarabanda di diavoli. «Tu sei nostro!» urlavano. «Tu hai salutato il nostro capo». E per tutta la notte lo fecero danzare con loro. Quando, all’alba, dopo aver pronunziato la preghiera d’uso, Antonio batté alla porta non ebbe nessuna risposta. Isaac era morto? Mandò ad avvertire il superiore che era allora il grande Teodosio. La porta fu forzata e si trovò Isaac steso per terra, inanimato. «E’ opera del demonio», disse Teodosio. Isaac non era morto, ma era divenuto sordo e muto, incapace, come un piccolo bambino, di provvedere ai suoi più elementari bisogni.
Teodosio lo fece trasportare nella propria cella, lo curò e per due anni lo lavò, lo nutrì, gli insegnò a parlare e a camminare. Poi lo condusse, sebbene recalcitrante, in chiesa, di cui esitava a varcare la soglia. Il terzo anno lo condusse in refettorio, ma Isaac rifiutava di mangiare se prima un monaco non gli metteva un pezzo di pane in mano. Teodosio disse: «Bisogna che impari a mangiare da solo». Smisero di nutrirlo e, a poco a poco, «guardando gli altri», imparò.
Guarito, Isaac non volle più vivere sotto terra e scelse di lavorare nella cucina. Veniva considerato un debole di spirito. Imbacuccato in una pelle di capro ricoperta di stracci, le gambe infilate nei cenci, arrivava sempre primo al mattutino e restava immobile, anche se d’inverno i suoi piedi nudi gelavano sul pavimento. Terminata la salmodia, correva in cucina ad accendere il fuoco e a portare l’acqua. I monaci lo prendevano in giro. «Guarda, Isaac» gli disse un giorno il cuciniere «un corvo passeggia nel cortile: prendilo». In segno d’obbedienza, Isaac salutò il cuciniere prostrandosi fino a terra, uscì e portò il corvo. I monaci si guardarono stupiti e il disprezzo verso Isaac si tramutò in rispetto. Allora, per non esser preso per santo, cominciò a fare l’idiota. Talvolta stuzzicava lo stesso superiore, talvolta, con una buona dose d’umorismo, andava in città a cercare fanciulli e con loro grande gioia li faceva recitare in piccole commedie in cui si parodiavano i difetti dei religiosi, i quali apprezzavano ben poco tale genere di spettacolo: Isaac si faceva bastonare sia dal superiore, sia dai monaci, sia dai suoi parenti.
Dopo la morte di Antonio, Isaac ridiscese sotto terra, installandosi nella grotta, divenuta libera, del grande asceta. I demoni si precipitarono a tormentarlo. Ma questa volta «non li temeva più delle mosche». Verso la fine della vita il suo dominio su di loro era completo. «Mi avete ingannato una volta», diceva loro, «perché non conoscevo ancora le vostre malizie; ma adesso ho con me nostro Signore Gesù Cristo e la preghiera del mio padre Teodosio». I demoni potevano bene invadere la grotta sotto forma di animali selvaggi e di rettili ripugnanti, armarsi di badili e zappe, minacciando di seppellire vivo il recluso, ma questo non serviva a niente. «Tu ci hai vinto, Isaac» dissero prima di scomparire definitivamente dopo tre anni di lotta.