CHIESA E IMPERO IN RUSSIA, LA “SINFONIA VARIABILE” SECONDO CODEVILLA

Il 12 agosto 2016 il quotidiano “Il Corriere della Sera” ha pubblicato una lunga recensione a firma dell’ambasciatore Sergio Romano, fra i più autorevoli commentatori del giornale milanese, dedicata alla ponderosa opera del professor Giovanni Codevilla dedicata al rapporto fra Chiesa e Impero in Russia pubblicata da Jaca Book. Dei volumi completissimi redatti dal professor Codevilla ci siamo già occupati nella sezione “Libri” del nostro sito. Ma l’articolo di Sergio Romano testimonia una volta di più il prestigio delle ricerche condotte da Giovanni Codevilla che ci onora della sua autorevole presenza nel Comitato scientifico del progetto culturale “I sentieri dell’icona”.

Uno studioso russo mi ha spiegato perché nella storia del suo Paese vi sia meno libertà di quanta ne esiste in quella degli Stati europei. Voi, mi ha detto, avete avuto la lotta delle investiture, quando un papa nel 1159 condannò l’investitura laica dei vescovi e si oppose alla partecipazione dell’imperatore nell’elezione del pontefice. Vi furono momenti in cui la volontà dell’imperatore prevalse su quella del papa; ve ne furono altri in cui la Chiesa rivendicò con forza le sue prerogative e fu signora e sovrana di territori, soprattutto in Italia. Ma da quella lotta fra la Chiesa e lo Stato, combattuta per molti secoli con strumenti diversi, è nata, secondo il mio interlocutore russo, la libertà degli europei. In Russia, invece, Stato e Chiesa hanno vissuto, secondo un termine coniato per l’Impero bizantino, «in sinfonia». Il potere era saldamente nelle mani dell’Imperatore ma la Chiesa ortodossa esercitava sui fedeli, con l’approvazione e il sostegno dello Stato, una sorta di dittatura spirituale che lasciava agli altri culti uno spazio limitato e sorvegliato. Pietro il Grande abolì il patriarcato e attribuì a se stesso le sue prerogative ma la Chiesa ortodossa continuò a incarnare l’identità spirituale dell’impero.

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Non è sorprendente quindi che i bolscevichi, quando conquistarono il potere nel 1917 , abbiano considerato la Chiesa, per il futuro del loro regime, non meno nemica e perniciosa dell’autocrazia imperiale. Per conoscere la storia di ciò che accadde dalla rivoluzione d’ottobre ai nostri giorni esistono ora i due volumi conclusivi di una grande opera in quattro volumi intitolata Storia della Russia e dei Paesi limitrofi. Chiesa e Impero (L’Impero sovietico 1917-1990 e La nuova Russia 1990-2015, Jaca Book). L’autore, Giovanni Codevilla, ha lungamente insegnato diritto ecclesiastico comparato all’Università di Trieste ed è oggi uno dei maggiori studiosi europei di storia delle relazioni fra Stato e Chiesa in Russia e in Europa orientale.
Per qualche tempo, sino all’inizio degli anni Venti, il regime bolscevico fu ferocemente anticlericale. Le chiese furono chiuse e distrutte, le reliquie dissacrate e svillaneggiate, gli ori e i gioielli confiscati, i preti e i vescovi incarcerati o passati per le armi. Codevilla riferisce il racconto di un socialista rivoluzionario, emigrato a Berlino sulla sorte toccata a una venerata icona della Madre di Dio in una regione dove infuriava la spagnola. I contadini organizzarono una veglia di preghiera e una processione per implorare la fine della epidemia. Gli agenti della Ceka, madre di tutti i servizi di sicurezza dell’Unione Sovietica, arrestarono i sacerdoti, sequestrarono l’icona, la dileggiarono, la coprirono di sputi. E quando i contadini decisero di andare a «liberare la madre di Dio», la Ceka li accolse sparando su una folla che era composta di vecchi, donne, bambini.
La persecuzione continuò sino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, ma divenne meno sanguinosa e spietata quando il regime capì quanto fosse difficile e impopolare «liberare» il popolo russo dalle sue antiche credenze. Vi fu d’altro canto, in seno alla Chiesa, un gruppo di prelati che si definirono «innovatori» e cercarono di stabilire con il regime un rapporto di dignitosa convivenza. Ma il loro gruppo fu rapidamente infiltrato dagli agenti della Ghepeù (il nuovo nome della Ceka) che non smisero mai, da allora, di manovrare dall’interno il mondo ecclesiastico per costringere i suoi esponenti a fare atti di omaggio e obbedienza.

Vi fu un radicale cambiamento di rotta nel 1941, immediatamente dopo l’inizio dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica. Dopo qualche giorno di confusione e smarrimento, Stalin non esitò ad adottare una linea che Codevilla definisce «Nep» per analogia con la Nuova Politica economica che Lenin aveva adottato nel 1921 quando fu necessario ricorrere al mercato per riparare i danni provocati dall’economia marxista.
Colpito dai sentimenti anti-bolscevichi con cui molte popolazioni stavano accogliendo gli invasori tedeschi, Stalin capì che i russi avrebbero combattuto per la patria molto più coraggiosamente di quanto avrebbero combattuto per il comunismo, e che nel concetto di patria vi era uno spazio saldamente occupato dalla Chiesa ortodossa.
Le chiese furono riaperte, molti sacerdoti uscirono dai lager e dalle prigioni, il Patriarca e le gerarchie ecclesiastiche poterono, con prudenza, riprendere le loro funzioni. Vi fu persino uno pseudo-concilio degli uniati a Leopoli, nel 1946, per orchestrare il ritorno alla Ortodossia dei cattolici di rito greco. Era un dono di Stalin alla Chiesa russa, ma era anche una manifestazione della ostilità sovietica verso la Chiesa di Pio XII.
Terminata la guerra, esaurita la funzione patriottica della Chiesa russa, il regime ricominciò a processare e a incarcerare. Codevilla segnala una disposizione del 26 ottobre 1948 con cui vennero nuovamente arrestati e deportati coloro che avevano già concluso il loro periodo di reclusione. Alla data del 1° ottobre 1949 i sacerdoti nei lager erano 3.523. Negli anni Cinquanta, sotto Krusciov, vi fu una nuova campagna ateista. Negli anni Settanta sotto Brežnev, fu promulgata una nuova costituzione sovietica con cui si garantiva ai cittadini sovietici «la liberta di coscienza, cioè il diritto di professare qualsiasi religione o di non professarne alcuna, di praticare i culti religiosi o di svolgere propaganda ateista».

Era un passo avanti, per la Chiesa ortodossa, ma i veri progressi vennero con Gorbaciov e Eltsin. Il primo autorizzò le celebrazioni per il millesimo anniversario della Rus’ di Kiev. Il secondo promulgò una legge che garantiva equamente libertà di culto e di apostolato a tutte le grandi fedi religiose della terra russa: ortodossia, islam, cattolicesimo, giudaismo. La legge non piacque alla Chiesa ortodossa perché sembrava privarla del suo primato storico e fu corretta da una norma che ristabiliva una sorta di gerarchia: l’ortodossia su un gradino più alto e le altre fedi su un gradino più basso. Lentamente e faticosamente la Chiesa ortodossa, con tutte le differenze dovute al mutamento delle condizioni culturali e sociali del Paese, era la identità spirituale dello Stato russo.
Certamente Vladimir Putin non sarà l’uomo di Stato che renderà la Russia più laica. In un bel saggio pubblicato nel quarto volume dell’opera di Codevilla, Stefano Caprio disegna un interessante profilo della religiosità del presidente russo: «Non solo fa atto di presenza alle grandi cerimonie, ma si reca regolarmente in chiesa, anche in chiese periferiche e non di vetrina , bacia le icone, si fa il segno della croce, mette le candeline davanti ai santi, si confessa e si comunica con lodevole frequenza». È una manifestazione di religiosità o forse, più semplicemente, un atto di fede nella continuità e nella grandezza della storia russa?