ANDREJ TARKOVSKIJ TRENT’ANNI DOPO: IL GRANDE REGISTA RACCONTATO DAL FIGLIO

Nel 2016 si celebrano i trent’anni dalla scomparsa del grande regista russo Andrej Tarkovskij, autore, fra gli altri, del lungometraggio-capolavoro “Andrej Rublev” e spentosi, a soli 54 anni, nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 1986, dopo una lunga malattia, nei pressi di Parigi. All’inizio di giugno la città di Firenze gli ha dedicato una retrospettiva e il figlio Andrej Jr, che presiede l’Istituto di studi internazionali che tutela e promuove l’attività del cineasta, ha rilasciato una lunga intervista al giornale on line “L’Indro”, a firma di Marcello Lazzerini, nella quale ricorda, fra l’altro: “In tutti i lavori di mio padre sono presenti in forma più o meno oscura, momenti che appartengono alla sua vita. Il suo cinema contiene scene, riflessioni, aspetti di vita reale o immaginaria molto spesso indecifrabili”.

Andrej Tarkovskij Jr, figlio del grande regista russo scomparso trent'anni fa
Andrej Tarkovskij Jr, figlio del grande regista russo scomparso trent’anni fa

Lui, come Fellini, ha girato pochi film, soltanto sette, due mediometraggi e un corto, entrando comunque a far parte dei classici del cinema, tanto da essere considerato il più grande della filmografia russa. C’è qualche altra analogia con Fellini oltre alla comune amicizia e collaborazione con Tonino Guerra ed alla limitata produzione filmica?

“Penso che mio padre fosse più vicino, cinematograficamente parlando, ad Antonioni, ma era amico di entrambi, vi era fra loro una grande ammirazione, stima reciproca e un rapporto di amicizia. Avevano a cuore il destino del cinema. Per loro il cinema era una missione”.

Sai che fu proprio Fellini ad indicare a Tonino Guerra quel luogo magico che è Bagno Vignoni, nelle cui acque si andava a bagnare Caterina da Siena? Luogo che tuo padre scelse per Nostalghia chiedendosi: “Perché queste cose meravigliose non le vedono i miei amici, mia moglie, i miei figli?”

“Certi luoghi gli ricordavano la Russia. In particolare la piscina naturale di Bagno Vignoni, con i suoi vapori, l’aria brumosa del mattino, il silenzio, le voci del passato. Del resto, nella campagna toscana, a Roccalbegna, ai piedi dell’Amiata aveva preso un terreno per costruirsi una casa, rudimentale, essenziale, contadina, così come aveva fatto nella triste campagna russa, a 300 chilometri da Mosca, dove lui stesso costruì la casa, presto Museo, a lui particolarmente cara e dove aleggia lo spirito della natura (…). Mio padre amava l’Italia e in particolare Firenze e la Toscana, certo anche Venezia, Roma, ma qui aveva scelto di vivere. Qui, in Italia aveva chiesto e ottenuto, nell’84, asilo politico. Ma la contrarietà del potere sovietico si era manifestata già dall’apparizione del primo lungometraggio L’Infanzia di Ivan, Leone d’Oro nel ’63 al Festival di Venezia, ex aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini. Un film che racconta la storia di un bambino durante la seconda guerra mondiale e che si discosta dal realismo socialista per calarsi in un’atmosfera onirica, simbolica, poetica. Allora Tarkovskij aveva 31 anni, il giovane regista, quando subentrò alla direzione del film, cambiò tutto, sceneggiatura, attori, significato dell’opera. Ne nacque un “caso” internazionale, a suo favore si schierò anche Jean Paul Sartre. Ma l’ostilità del regime si fece più netta quando uscì il suo capolavoro, Andrej Rublev che racconta le vicende del pittore di icone Rublev, vissuto nel Quattrocento. E attraverso lui, il regista rintraccia nella storia della Russia l’anima antica del suo popolo, il suo spirito comunitario intriso di misticismo, immerso nella fede, dominato dal sentimento religioso. Nonostante le pressioni politiche e istituzionali contrarie, il film ottenne il premio internazionale della critica al Festival di Cannes del ’69, ma solo nel ’71 fu proiettato in Russia, boicottato dalle autorità. Fu sul set del Rublev che Tarkovskij conobbe Larisa Pavlovna Egorkina, sposata in seconde nozze nel ’69 (in prime nozze aveva sposato Irma, un’attrice conosciuta alla Scuola Superiore di Cinematografia, da cui era nato Arsenij Andreevic, primo figlio del regista)”.

Una scena dal film "Andrej Rublev"
Una scena dal film “Andrej Rublev”

Tu sei nato nel ’70, in un periodo non facile per tuo padre. Che cosa ricordi della tua infanzia, dell’infanzia di Andrej jr?

“Di quand’ero piccolo ricordo le lunghe passeggiate nei boschi in campagna con il babbo e la mamma, il fervore creativo che c’era in casa: tutti eravamo immersi nel cinema, e anche nel teatro. La mamma era la sua assistente. Lui scriveva i copioni, la sceneggiatura, pensava ogni fotogramma, disegnava. Spesso mi conducevano sul set dov’erano impegnati ore ed ore”.

Quali erano i motivi di questo ostracismo, che costringerà tuo padre all’esilio?

“Il contrasto era ideologico, il suo cinema non seguiva i canoni del realismo socialista, secondo i quali il cinema come l’arte dovevano sostanzialmente avere un carattere apologetico, al contrario il suo cinema si nutriva di spiritualità, di poesia, di valori religiosi. Aveva un’anima. Il tema religioso non era accettato dagli apparati di potere. Oltre a questo contrasto di fondo, un peso enorme ha giocato anche l’invidia dei colleghi, forse per il suo successo internazionale. Questa è stata una delle cose più dolorose da mandar giù. Come la rottura con Sergij Bondarchuk”.

Bondarchk, allora il più autorevole regista sovietico, lo conobbi sul set di Messico in Fiamme, con Franco Nero, del quale furono girate stranamente alcune scene a Firenze…

“Le ostilità dei colleghi ( ma non solo la sua), furono assai dolorose, come il vuoto che si era creato intorno a noi. Soprattutto quando mio padre, dopo le riprese del film Nostalghia a Roma, una coprudozione italo-sovietica, ostacolata a Cannes dallo stesso Bondarchuk nell’84, decide di non fare più ritorno in patria per poter lavorare e portare a termini i progetti dei film che non aveva potuto realizzare in Russia. Così, dal 1982, la data della partenza dei miei genitori in Italia (mia madre ha sempre lavorato con mio padre come aiuto regista), mi sono ritrovato trattenuto in Urss come garanzia per il loro ritorno”.

Diciamo in ostaggio…

“In quel periodo nessuno ci faceva più visita, poche le telefonate almeno per chiedere: come state?”.

Anche da parte dei tuoi compagni di scuola incontrasti distacco?

“No, loro non cambiarono atteggiamento nei miei riguardi, mantenendo un rapporto amichevole. Ma la mia residenza è qui a Firenze, dove vivo da trent’anni ormai, alternandomi con Parigi. Questa è la mia città, che anche i miei genitori amavano. In ostaggio il giovane Andrej rimase fino all’86, anno in cui grazie all’intervento di Mitterand su Gorbacev poté ricongiungersi a Parigi con i suoi genitori e assumere la cittadinanza francese. Già dall’84 il grande regista aveva chiesto ed ottenuto asilo politico in Italia”.