COME SI “SCRIVE” UN’ICONA? QUALCHE APPUNTO PER SAPERNE DI PIÙ

Come si “scrive” un’icona? Esiste, e qual è, la tecnica più utilizzata dagli iconografi? Vi sono differenze fra le diverse scuole? Sono domande che di frequente, anche attraverso le nostre caselle mail, gli amici de “I sentieri dell’icona” rivolgono alla nostra redazione. Nonostante la consistente mole di documenti presenti nella sezione “Un po’ di storia” di questo sito, il Comitato scientifico ha deliso di proporre, per la semplicità di lettura, il contributo offerto dai monaci del monastero di Dumenza, in provincia di Varese, da tempo impegnati in un’attività di alto profilo per la divulgazione della conoscenza e della pratica dell’arte iconografica.

La base dell’icona è una tavola di legno generalmente di tiglio, su cui si stende una tela poi ricoperta con diversi strati di gesso. Dopo essere stata accuratamente levigata, viene inciso il disegno. In seguito, con una delicata procedura viene applicato l’oro. Successivamente, si inizia la stesura di diversi strati di colore. I pigmenti utilizzati sono essenzialmente di natura organica e inorganica (terre, minerali e ossidi). Si parte col dare il colore di base alle campiture, quindi viene ripresa la grafia con le ombre per infine lasciare emergere le luci. Questa tecnica viene chiamata illuminazione ed è fondamentale soprattutto nell’esecuzione dei volti perché indica il cammino dell’uomo verso l’essere nuova creatura (la trasfigurazione), la creatura vista nella luce di Dio.

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Infine viene stesa sull’icona l’olifa per proteggerla e darle lucentezza. Il tema centrale dell’icona è infatti la luce; l’oro largamente usato è il segno della luce divina che trasfigura la realtà. Al “pittore” di icone non interessa imitare la realtà, ma svelare la sostanza: per questo le proporzioni vengono alterate e si segue un determinato canone ricco di significati simbolici.