L’INSEGNAMENTO DEI SANTI PADRI: “L’ICONA, PRESENZA DELL’INVISIBILE”

Si dice che l’icona è immagine e persino presenza dell’Invisibile. Questa affermazione può sorprendere e forse sorprende più l’uomo di oggi che quello dei tempi passati. Per comprendere l’icona in profondità si può definire l’immagine come un semplice mezzo d’informazione, anche se l’immagine sacra riveste, per il suo carattere simbolico, una dimensione trascendente. In effetti l’immagine ci presenta un personaggio (o un avvenimento): richiama colui che raffigura e diviene pertanto un legame tra colui che è rappresentato e lo spettatore. Ma tutto ciò resta nell’ordine dell’intelligibile, mentre con l’icona quest’ordine è superato. L’intelligibile non è che l’aspetto esteriore dell’icona, la sua essenza invece consiste nell’essere il luogo della presenza. Diversa dalla realtà del soggetto, questa presenza non è tuttavia riducibile a un semplice ricordo. Nel tentare di comprendere perchè l’icona sia un luogo di presenza cerchiamo di capire ciò che distingue l’icona da ogni altra immagine, ed il suo posto nella tradizione e nella vita liturgica.
Una tale concezione dell’immagine impone pure una distinzione fondamentale delle forme di culto, distinzione che ritroviamo negli scritti di Giovanni Damasceno, soprattutto in Teodoro Studita, e che più tardi è entrata nella definizione del concilio di II Nicea nel 787. L’adorazione, in senso stretto di «latréìa», «latreiotiké proskynesis», è riservata a Dio solo. Alle icone, come pure alla Vergine e ai santi, non può essere reso che il culto della «venerazione» relativa, «proskynesìs schetiké», o «di onore», «tìmetiké proskynesis». La venerazione non si rivolge mai all’immagine, ma, per il suo tramite, a colui che è rappresentato, poiché, nella sua essenza, l’immagine è una realtà relativa: è sempre immagine di qualcuno. Tuttavia, quando il culto è reso all’immagine di Cristo, questa venerazione diviene adorazione, poiché è rappresentato il Verbo incarnato. Una tale distinzione è importante per il culto delle immagini, perché sottolinea la differenza essenziale tra la realtà dell’immagine e il suo prototipo, il Verbo incarnato, e per mezzo di Lui, dei santi che partecipano alla sua gloria.
Teodoro Studita per dimostrare che l’icona circonscrive veramente il Verbo, ove per circoscrizione (perigraphè) si intende la qualità inerente ad ogni natura che la identifica fra altre, in pratica, chi dipinge circoscrive la persona rappresentata. Teodoro concentra il suo ragionamento sul paradosso: “L’Invisibile si è reso visibile”. Ciò significa che il Verbo invisibile, generato dall’Invisibile, è apparso ai nostri occhi: abbiamo visto la persona stessa del Verbo, la sua ipostasi. Pertanto l’icona di Cristo non rappresenta solo la sua natura, ma anche la sua ipostasi, cioè la coesistenza della natura divina invisibile e di quella umana visibile. Infatti come si potrebbe dipingere l’immagine di una natura che non fosse vista in un’ipostasi? Il Verbo, incarnandosi, ha quindi assunto la natura umana e, poiché questa sussiste solo in individui ben determinati, non è divenuto uomo in generale, ma un certo uomo, il personaggio storico Gesù di Nazaret. Dato poi che le particolarità sono proprie della persona e non della natura, Teodoro può confermare che i tratti del volto di Gesù sono quelli della persona divina. L’invisibile grazie all’ipostasi si è reso visibile, quindi rappresentabile. «L’ipostasi di Cristo è circoscritta, non secondo la divinità che nessuno ha mai vista, ma secondo l’umanità che è contemplata in essa (ipostasi) come un individuo», «en atòmò». Si può così asserire veramente che l’icona circoscrive il Verbo di Dio, poiché il Verbo stesso si è circoscritto divenendo uomo. Ecco perchè si suole dire che la corrente iconoclasta in effetti riassunse in se tutte le eresie del tempo!

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In che modo è dunque presente il prototipo nell’icona? Teodoro continua la sua dimostrazione asserendo che «Il prototipo non è nell’immagine secondo l’essenza, altrimenti l’immagine sarebbe anch’essa chiamata prototipo e, in modo inverso, il prototipo immagine: il che non è conveniente perché ogni natura (quella del modello e quella dell’icona) ha la sua definizione. Il prototipo è dunque nell’immagine secondo la somiglianza dell’ipostasi». Per esemplificare meglio la presenza divina nell’icona Teodoro ricorre all’immagine del sigillo e della sua impronta: «Prendiamo per esempio un anello sul quale sia incisa l’immagine dell’imperatore: che lo si imprima nella cera, nella pece o nell’argilla, il sigillo resterà immutabilmente lo stesso in ciascuna materia che, al contrario, si distingue bene dalle altre. Il sigillo non resterebbe lo stesso nelle diverse materie, se partecipasse in qualche modo alle materie stesse. In effetti è separato da queste e resta nell’anello. Analogamente la somiglianza di Cristo, anche se impressa in una materia qualunque, non è in comunione con la materia nella quale si esprime, ma rimane nell’ipostasi di Cristo, alla quale appartiene»
San Teodoro chiarisce quindi che l’icona non appartiene all’ordine dei sacramenti. La materia dei sacramenti riceve la forza santifìcante da una grazia strumentale (nel battesimo l’acqua santifica per la forza dello Spirito Santo). L’icona non ci fa partecipare sostanzialmente a Cristo come il pane eucaristico che è il corpo di Cristo: ci fa partecipare per la sua relazione all’ipostasi di Cristo e questa partecipazione è di ordine intenzionale.

Definiamo che (. . .) come le rappresentazioni della croce preziosa e vivifìcante, anche le venerabili e sante immagini, sia quelle dipinte, sia quelle in mosaico o di qualche altra materia, devono essere poste nelle sante chiese di Dio, sugli utensili e le sacre vesti, sui muri e i quadri, nelle case e per le strade, sia l’immagine di Dio nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che quella della Vergine immacolata, la santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e dei giusti. Infatti, guardando frequentemente queste rappresentazioni, coloro che le contemplano si ricorderanno dei modelli originali, si volgeranno ad essi, testimonieranno loro, baciandole, una venerazione («proskynesis», adoratio) rispettosa, senza essere un’adorazione («latréia», latria) vera secondo la nostra fede, adorazione che conviene a Dio solo. Ma come per l’immagine della croce preziosa e vivificante, per i santi Evangeli e per gli altri oggetti e monumenti sacri, si offriranno incenso e lumi in loro onore, secondo la pia consuetudine degli antichi. Perché «l’onore reso a un’immagine risale al modello originale» (San Basilio, De Spiritu Sancto). Chiunque venera un’immagine, venera in essa la realtà che vi è rappresentata (…).
(Dalla dichiarazione finale del II Concilio di Nicea)