DON REPICE: “LA SINDONE, RIMANDO ALLA NUOVA UMANITA’ IN CRISTO”
|Il quotidiano indipendente “L’Indro”, in occasione dell’Ostensione della Sindone di Torino, ha pubblicato, sul suo sito web www.lindro.it, un interessante e documentato contributo a firma di don Domenico Repice, teologo e sindonologo, amico del progetto culturale de “I sentieri dell’icona”. Lo riproponiamo di seguito per i nostri lettori.
La Sindone rappresenta un enigma. Studiosi di ogni scienza, complice la fotografia del 1898, ne hanno studiato le caratteristiche, interrogandosi sulla storia, analizzando Telo e immagine. La Chiesa cattolica prudente e apparentemente silente, consente, osserva, discerne e, con cautela, dichiara, accorta nel non diffondere temerarie certezze e tuttavia ferma nel difendere le incontrovertibili acquisizioni. Vescovi e religiosi l’hanno venerata e ne hanno promosso la conoscenza, ma altri ‘colleghi’ l’hanno ignorata o denigrata bollando il reperto come un falso e ponendosi in contrapposizione con autorevoli accademici dichiaratamente agnostici, sostenitori dell’autenticità.
La Sindone nella Teologia
L’‘Ephemerides Theologicae Lovanienses’, della belga Università Cattolica di Lovanio, pubblica, nell’annuale ‘Elencus Bibliographicus’, il dettaglio degli articoli teologici, biblici e giuridici canonici. Dagli anni ottanta quegli riguardanti la Sindone, delle autorevoli riviste di scienze teologiche, sono inseriti in una sezione a parte, al termine della teologia del Nuovo Testamento, dopo la tematica ‘De resurrectione’. Un dato significativo che conferma l’accresciuto interesse per la Sindone e il suo ‘mondo’. La storia della Chiesa, materia teologica, affronta il tema quando ne descrive la vicenda certa e indaga, attraverso ipotesi, accertamenti archeologici, confronti con le altre scienze, il cosiddetto ‘periodo nascosto’.[1] L’arte dei cristiani del primo millennio offre spunti di approfondimento confluenti in una sistematica riflessione che la moderna teologia dell’immagine deve condurre muovendosi dall’insegnamento e dalla dottrina del secondo concilio niceno. I punti di contatto fra le vicende storiche e teologiche del Mandylion, le riflessioni degli scrittori ecclesiastici e della patristica e, non ultima, la nuova strada intrapresa dalla ‘Duodecimum Saeculum’ di Giovanni Paolo II, danno vita a una piattaforma utile per avviare, con ulteriori contributi, una fruttuosa riflessione circa il rapporto Sindone-Mandylion. Ma è soprattutto la teologia Biblica (e l’esegesi) a offrire un contributo interessante, come è evidenziato dalla scelta di Lovanio. Leggendo la Sindone si è portati a pensare alla Passione raccontata dagli evangelisti. Le tracce di sangue e la misteriosa impronta umana la raccontano parimenti a quello che i testi storici e narrativi neotestamentari offrono allo studio e alla meditazione. Testimone muta ed eloquente, icona del Sabato Santo, la Sindone testimonia una morte, un’assenza che si fa’, nell’immagine, inevitabile presenza.
Sindone e vangeli
Lo studio del rapporto fra Sindone e vangeli non è esaurito: presenta elementi d’incertezza e fattori di sicurezza elaborati dalle analisi effettuate sui testi e proposte.[2] Nei sinottici si parla di una ‘sindon’ utilizzata per avvolgere il cadavere di Gesù e in Giovanni si fa’ riferimento anche ai teli funerari (‘othonia’) serviti per lo spostamento dalla croce e per la sepoltura all’interno della tomba donata da Giuseppe l’arimateo. Le dimensioni si intuiscono essere più ampie del morto. Il generico termine ‘othonia’ può indicare teli di varie dimensioni. L’immagine sul telo parla con immediatezza come testimone autorevole di sé stessa, senza necessità di trovare altrove attestati a favore. Narra una morte avvenuta per la tortura della crocifissione e ne illustra, con commovente efficacia, numerosi particolari illuminando la conoscenza di quel supplizio, in assenza di altre testimonianze sufficienti e dettagliate. L’interesse intorno alla Sindone si è concentrato sullo studio di questa esperienza drammatica e sul rapporto con i vangeli. Colpiscono, per originalità, la coronazione di spine e la ferita al costato, in accordo coi testi, ma in disarmonia con le pratiche conosciute. La lettura della Sindone, a volte mediata dalle numerose fotografie, e il parallelo studio dei testi evangelici, mette in rapporto le due fonti. La correlazione non è solo di matrice scientifica esegetica e teologica, ma anche di natura religiosa e spirituale. Il vincolo fra la Passione e la Sindone è affascinante e aumenta nel momento in cui le scienze, studiando il telo come reperto archeologico[3], ne hanno sottolineato l’incompatibilità dell’immagine con la pittura e altre metodologie artistiche.[4] Tali importanti affermazioni scientifiche, pubblicate da autorevoli riviste specializzate, non provengono da tesi precostituite e ‘partigiane’, ma sono suffragate da incontrovertibili elementi che appassionano chi frequenta queste scienze e che sono a disposizione di chiunque. Colloquiando con la Sindone si ha la sensazione e l’emozione, che diviene progressivamente quasi certezza, di dialogare coi vangeli e con Colui che ne è il centro, Gesù Cristo, la vera Buona Notizia, l’autentico e vivente Vangelo della salvezza e della speranza. La fede cristiana è accoglimento della verità della manifestazione di Gesù e la sua compiuta forma cristologica. L’incarnazione di Dio pone in essere una radice che possiede la qualità assoluta dell’eternità. Una volta per tutte e per sempre la cristologia di Gesù si è compiuta, per l’intera storia dell’uomo, da Betlemme, passando per Nazareth, a Gerusalemme.[5]
L’immagine sulla reliquia
L’interesse religioso e credente per la reliquia iconica, che evoca in noi la visione di uomo che è morto per un solo istante, ma che adesso è vivo,[6] non nuoce e non condiziona la ricerca acritica sul reperto. Il rimando esistenziale e spirituale suscita sentimenti, ma non elimina il razionale desiderio di comprendere. Le ricerche esegetiche e teologiche hanno i propri statuti che conferiscono loro dignità ed efficacia e offrono elementi non solo per lo studio dell’oggetto, ma anche per una più consapevole visione dell’immagine e del telo che la conserva. Essa può diventare, sulla scia dell’autorevole dogmatica dell’immagine, inequivocabilmente definita a Nicea 787, contemplazione e venerazione. L’immagine fornisce dati che l’esegesi considera e coi quali si cimenta. Elementi non pienamente accordabili? Totalmente corrispondenti? Sufficientemente concordi? La lettura serena dei testi permette, ed è una conclusione condivisibile non solo per l’autorevolezza di chi la propone, ma per la verificabilità dell’affermazione, un giudizio di compatibilità.[7] «Ciò che soprattutto conta per il credente è che la Sindone è specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul sacro Lino, non si può prescindere dalla considerazione che l’immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla. Chi ad essa si avvicina è, altresì, consapevole che la Sindone non arresta in sé il cuore della gente, ma rimanda a Colui al cui servizio la Provvidenza amorosa del Padre l’ha posta. Pertanto, è giusto nutrire la consapevolezza della preziosità di questa immagine, che tutti vedono e nessuno per ora può spiegare. Per ogni persona pensosa essa è motivo di riflessioni profonde, che possono giungere a coinvolgere la vita» (Giovanni Paolo II, 24 Maggio 1998)
Sindone e pontefici
Pio XI ricorreva all’immagine sindonica definendola significativamente ‘quinto evangelo’. Certezza che è andata stemperandosi e che parve definitivamente compromessa dalla fatidica datazione radiocarbonica del 1988 e dalle controverse vicende che l’hanno accompagnata. Il papa scriveva all’allora Arcivescovo di Torino, cardinale Maurilio Fossati: «Abbiamo seguito personalmente gli studi sulla Sindone e ci siamo persuasi della autenticità. Si sono fatte tante opposizioni, ma, non reggono» La convinzione personale di Pio XI è leggibile, in controluce, nelle affermazioni di san Giovanni XXIII («qui c’è il dito di Dio»), del beato Paolo VI («Qualunque sia il giudizio storico e scientifico che valenti studiosi vorranno esprimere circa codesta sorprendente e misteriosa reliquia, noi non possiamo esimerci dal fare voti che essa valga a condurre i visitatori non solo ad un’assorta osservazione sensibile dei lineamenti esteriori e mortali della meravigliosa figura del Salvatore, ma possa altresì introdurli in una più penetrante visione del suo recondito e affascinante mistero»), di san Giovanni Paolo II, il quale aveva voluto visitarla durante l’Ostensione del 1978, prima di salire al soglio pontificio, salutandola come la più splendida reliquia della Passione e della Resurrezione del Signore. Anche Benedetto XVI e papa Francesco hanno offerto interessanti parole. In tutti i casi è utile evitare di forzare queste affermazioni pur accogliendole per la loro autorevolezza e la loro disarmante chiarezza.
Immagine sindonica e Risurrezione
Se l’immagine impressa, misteriosa e affascinante, è quella di Gesù Cristo, (e non sembrano esserci numerose argomentazioni per poterlo dubitare), e se essa è il risultato di qualcosa che le scienze, a tutt’oggi, non sanno spiegare, allora è legittimo ipotizzare che Gesù non abbia lasciato la sua impronta su quel telo per caso. La Sindone e la sua immagine non dichiarano una distrazione divina. Essa, come il rotolo evangelico, non ha avvolto un fantasma, un mito, una visione. Entrambi hanno avvolto l’emozionante fisicità del Figlio di Dio, in virtù della quale avviene l’opzione della fede. Interrogandosi sul perché dell’immagine si azzarda l’uso della parola miracolo, ma è parimenti un azzardo liquidare l’icona sindonica come qualcosa di facilmente riproducibile con tecniche conosciute nel passato, oggi dimenticate. I tentativi di riproduzione, estremamente interessanti, risultano ambivalenti, in quanto numerose e non partigiane[8] ricerche scientifiche, hanno dimostrato che l’immagine porta con sé caratteristiche tali da farla comprendere nella antica categoria delle immagini acheropite, non fatte da mani d’uomo. Come il corpo del Signore impresse la sua immagine negli occhi dei testimoni che ce lo hanno comunicato e tramandato nella Tradizione, così lo stesso corpo ha impresso la sua immagine nel Telo in cui fu avvolto per la sepoltura. Tema, non solo teologico, per eccellenza, della Sindone: nessuna distanza fra il Testo e il Telo ha potuto essere evidenziata tale da occultare l’evidente prossimità.[9]
Immagine muta, balbettante, comunicante
L’immagine, per secoli balbettante, ha iniziato a parlare con una certa eloquenza dal 1898, forse per comunicare proprio con la società contemporanea, post-moderna, post-illuministica e post-ideologica, società di immagine e di immagini per antonomasia. Comunica pace e serena ieraticità, ma anche sofferenza, dolore, tormento. Si mostra solenne, ma deformata, contorta e rassicurante. Esprime la lotta inevitabile e incredibile che l’uomo affronta con la morte e con i suoi derivati. Una lotta interiore, che impedisce di vivere, che condiziona tutte le azioni. Ipotizza anche, in qualche modo, la sconfitta della morte, rappresentata ed evidenziata dalle ferite, dal sangue, dalla rigidità cadaverica, ma anche sfuggente nell’assenza sul telo delle sue conseguenze più nefaste: la corruzione. «Non lascerai che il tuo santo veda la corruzione, indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza», canta il salmo entrato nella liturgia della Veglia Pasquale e illustrato proprio dalla scena della risurrezione, in una mirabile sintesi grafica medievale, nel Salterio di Utrecht risalente al IX secolo, dove elementi dei quattro vangeli sono sinteticamente descritti. Nel superbo disegno si intravede il lenzuolo, all’interno della tomba aperta e indicata dall’angelo, ormai svuotato del cadavere, così come una corretta traduzione della pericope giovannea sembra suggerire. Le analisi scientifiche sul Telo concedono cittadinanza all’ipotesi di un’assenza di manomissione per la nitidezza delle impronte sanguigne. Questo significa che la Sindone è una prova della risurrezione di Gesù? L’argomento si fa’ ostico. Le prove della risurrezione sono narrate dalla testimonianza apostolica che da due millenni è tramandata e offerta da coloro che, nel nome di Cristo, offrono la vita in un’esistenza alle volte martire, per l’odio della fede. Testimonianze d’amore che sono il seme fecondo della nuova umanità inaugurata dal Risorto. Certamente la Sindone ci interpella e ci interroga con le sue ‘affermazioni’ e con le sue ‘allusioni’. Forse non prova la risurrezione del Cristo, ma, nonostante tutto, ad essa allude e rimanda. Carlo Goldoni, ematologo romano, studioso anche del sudario di Oviedo, frequentemente usava questa affermazione, al confine fra scienze e teologia e, con la dovuta cautela, mi pare che essa possieda un fascino significativo ed evocativo. Il Risorto è stato visto dai testimoni oculari i quali, come la memoria giovannea tramanda, lo hanno toccato, incontrato e hanno dialogato con lui. Ancora oggi lo incontriamo nella fede e nei sacramenti rituali che la Chiesa celebra per sua espressa volontà. La fede cristiana celebra risorta anche Maria, sua Madre, Assunta in cielo e celebra, pur nel quotidiano accadimento dell’enigma della morte, anche la risurrezione di tutti i viventi. Questa fede non cerca conferme, ma è altrettanto convinta che la materia riguardi la fede e il progetto salvifico trinitario, in quanto chiamata anch’essa alla redenzione, perché tutta la creazione è chiamata alla salvezza. Una trasformazione della storia, che sta avvenendo attualmente come ricorda Paolo: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo?» (Rm 8, 22-25)
Conclusioni e ripartenze
Il Telo si ostenta come suggestiva appendice del Testo. Il segno iconico mantiene intatta la stessa funzione del segno narrativo che fissa il canone della fede. La sobria immagine della Passione intride ogni fibra della narrazione evangelica e rimanda alla compiutezza dell’Incarnazione che riflette suggestivamente il totale dell’immagine di Gesù vivente. Nell’immagine sindonica «dell’armamentario dell’estetica e della drammatica del sacro – esoterismo seduttivo, eccitazione sacra, spettacolarizzazione del dolore, esibizionismo dell’amore – nulla. L’icona della compostezza del Figlio incarnato, che ha vissuto una passione divina totale, nella totale semplicità dell’umano, è ai miei occhi il punto di perfetta sovrapposizione fra la devozione del telo e la confessione del rotolo» [10] Pur essendo straordinariamente ‘pesante’, caricata di storia, scienze, ricerche, dibattiti, analisi, la Sindone si mostra ed è estremamente leggera e necessita di una tela di supporto, tale è la sua precarietà. È un pezzo di stoffa di nobile e pregiatissima fattura proprio come pregiata e fragile appare l’esistenza di ogni uomo. Ma è l’esistenza fragile dell’uomo di ogni tempo chiamata a specchiarsi nell’immagine del Telo per scoprirvi il rimando alla nuova umanità, fondata dal Vivente, segno allusivo ed eloquente della risurrezione.
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[1] Per esempio: L. Fossati, La Sacra Sindone. Storia documentata di una secolare venerazione, Leumann (TO), 2000; H. Pfeiffer, La Sindone di Torino e il Volto di Cristo nell’arte paleocristiana, bizantina e medievale occidentale, in Emmaus 2, Roma, 1982; A. M. Dubarle, Historie ancienne du Linceul de Turin, Paris, 1985; P. Savio, Ricerche storiche sulla Santa Sindone, Torino, 1957; I. Wilson, The Shroud of Turin. The burial cloth of Jesus Christ?, New York, 1978; M. Guscin, The image of Edessa, Leiden 2009; G.M. Zaccone, La Sindone. Storia di un’immagine, Milano, 2010; e molti altri testi ancora.
[2] Giuseppe Ghiberti è il biblista che più di ogni altro ha approfondito la questione. Si veda in particolare: G. Ghiberti, Dalle cose che patì. Evangelizzare con la Sindone, Cantalupa (TO), 2004
[3] Cfr Simone Gianolio, La Sindone come reperto archeologico, in Quattro percorsi accanto alla Sindone, a cura di Domenico Repice, Roma, 2011, 27-40
[4] Emanuela Marinelli, I tentativi di riproduzione sperimentale della Sindone, in Quattro percorsi accanto alla Sindone, a cura di Domenico Repice, Roma, 2011, 27-40
[5] Cfr Pierangelo Sequeri, Postfazione, in Giuseppe Ghiberti, Dalle cose che patì. Evangelizzare con la Sindone, Cantalupa (TO), 2004, 352-354
[6] Marco Guzzi, La Sindone: come in uno specchio il volto sorgente della nuova umanità, in Quattro percorsi accanto alla Sindone, a cura di Domenico Repice, Roma, 2011, 226
[7] G. Ghiberti, Dalle cose che patì. Evangelizzare con la Sindone, Cantalupa (TO), 2004, 145-146
[8] Ci si deve domandare se le ricerche scientifiche possono essere partigiane nel momento in cui essi si esplicitano in una serie di dati, di misurazioni matematiche e di ipotesi controllabili.
[9] Pierangelo Sequeri, Postfazione, in G. Ghiberti, Dalle cose che patì. Evangelizzare con la Sindone, Cantalupa (TO), 2004, 355
[10] Cfr Pierangelo Sequeri, Postfazione, in G. Ghiberti, Dalle cose che patì. Evangelizzare con la Sindone, Cantalupa (TO), 2004, 354-355